"sometime we forget the real aim of our sport if the only thing we think at, is the times”


La musica e la poesia di Vinicio Caposella mi accompagnano per riguardare per l’ennesima volta la finale dei k1 uomini ai recenti mondiali. 


Voi magari  vi chiederete perché  parliamo  dei mondiali di Praga che per molti sono finiti e archiviati? Beh! per il semplice motivo che è passato praticamente un mese. Il tempo necessario per metabolizzare un evento di tale portata. Ora, dopo riaver visto le gare molte altre volte, siamo arrivati al punto che dobbiamo iniziare a parlarne in maniera più dettagliata e soprattutto cercare spunti per migliorare e per non far cadere nel dimenticatoio imprese mitiche e per certi versi uniche. Riguardando quindi questa gara mi è venuto spontaneo chiedermi che cosa ha provato Vavrinec Hradilek quando ha toccato la porta numero 4 di quella finale tanto attesa davanti alla sua gente, oltre 4.000 persone presenti, e seguita in diretta televisiva. 


Il ceco lo conosco da tempo, ho avuto piacer di allenarmi diverse volte con lui in giro per il mondo. Lo ricordo a Rotorua in Nuova Zelanda  nel 2010 quando abbiamo condiviso un allenamento un po’ particolare e che avevo proposto a Eoin Rheinisch, mio atleta a quel tempo. Uno di quegli allenamenti decisamente particolari sull’ascoltare l’acqua, sul trasmettere emozioni attraverso la pagaia, sulla ricerca di equilibri con lo scafo portato al limite tra onde e ritorni d’acqua importanti. Esercizi con gli occhi chiusi e pagaiate con le mani. Proposte a volte azzardate, ma prese sempre con la massima serietà  e soprattutto con la voglia di scoprirsi nel profondo a differenza dell’irlandese che non aveva gradito particolarmente quella sessione speciale nata per mettere gli atleti in “stato di necessità”*
per trovare delle risposte diverse da quelle usualmente utilizzate.  Quell’allenamento però mi è sempre rimasto impresso per tre motivi:
  • la gioia con cui Vavra cercava di mettere in atto ogni mia proposta sforzandosi di trovare anche soluzioni diverse;
  • il suo stile nell’interpretare lo slalom: una danza con l’acqua e le porte;
  • il modo con cui si è congedato da me alla fine dell’allenamento: 
“wonderful workout Ettore, sometime we forget the real aim of our sport if the only thing we think at, is the times”

Bene! tutte queste emozioni le ho riassaporate seguendo la sua gara a Praga. Infatti ho ritrovata la sua gioia nel suo


la porta 16 in risalita dove gli era stato assegnato un 50 in semifinale
dal giudice italiano che si vede sulla sinistra in azzurro con il braccio destro
alzato e con la mano aperta  per segnalare la massima penalità 
sorriso sempre in questi mondiali anche quando ingiustamente gli era stato dato un 50 in semifinale alla porta 16 dal giudice italiano Enrica Berlingeri, poi tolto perché inesistente. Anche in quei momenti e davanti ai giornalisti aveva mantenuto il sorriso perché quella porta in risalita l’aveva fatta senza nessun dubbio. Aveva invece rischiato subito dopo quando alla 17 la corrente gli aveva rubato per un attimo il fianco e lui miracolosamente è riuscito a fare in un solo istante due cose:

  1. non finire con la testa sotto
  2. entrare nella porta.

il momento del miracolo canoistico in semifinale

Ma la sua finale è stato un vero capolavoro.  Una danza sublime in perfetta armonia con le acque di un canale che lo ha visto nascere, allenare e ora vincere un oro iridato. Per noi è stato uno spettacolo unico vederlo pagaiare così. Aggressivo al punto giusto, potente quando necessitava, con il guizzo giusto e senza paura nelle risalite e in modo particolare alla 5 e alla 10. Poi una parte centrale senza sbavature, prendendosi però anche grandi rischi come alla 14 e alla 15. Perché un mondiale non lo vinci passeggiando e neppure senza una punta di follia che si deve fondere comunque con la buona sorte. Alla risalita 21 a destra dopo il ponte ha un attimo di tentennamento che risolve tenendo il sinistro in acqua e spostando lateralmente la canoa tutta verso la pagaia per non toccare la porta. Uno spostamento laterale... un esercizio che in quell’inverno di tre anni fa a Rotorua avevamo fatto a lungo! 

Insomma una finale perfetta tanto più se si pensa che è stata vinta con una penalità. La cosa non succedeva da 10 anni per i kayak uomini quando cioè nel 2003 ad Augsburg un certo monsieur Lefevre (4^ in finale a Praga con una penalità) vinse il suo secondo oro iridato con 4 penalità (in finale toccò la 15 e la 23, andando a vincere su David Ford con un margine ancora di 1,81). Prima nel 1997 a Tre Coroas (Brasile) a vincere fu Becker con un tocco nella seconda manche. Va detto, per dover di cronaca, che al tempo c’era la somma delle manche (semifinale sommata alla finale - tolta dopo i giochi olimpici del 2008).

Il giorno seguente la finale ho visto  Hradilek e sono andato  da lui per fargli i complimenti.  Mi abbracciò e come sempre  ritrovai subito la gentilezza e l’armonia nelle sue  parole che già avevo apprezzato e conosciuto nel 2010. Non gli ho chiesto però, perché non ne ho avuto il coraggio in quel momento, che cosa  aveva pensato quando la sua canoa aveva toccato il palo destro della 4. Non volevo farlo pensare, avevo solo il desiderio di trasmettergli tutta la mia stima per l'uomo e per l'atleta Vavra.  Rimango con la curiosità, ma forse un giorno o l’altro, magari quando verrà qui ad allenarsi e  tra una birra e l’altra mi farò coraggio e glielo chiederò!

Occhio all’onda! 

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* "Stati di necessità" - teoria dell'allenamento prof.Walter Bragagnolo (ISEF - VR) e prof. Alviano Mesaroli allenatore di Vladi Panato.

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