Le più belle bellezze!
Etichette: analisi tecnica slalom
Tra le più «belle bellezze» e le più emozionati finezze fra i paletti dello slalom metterei fra i primi posti la spinta sul bordo o su un sasso fatta con la pagaia. Il gesto è così elegante ed eccitante che ogni volta che lo vedo messo in essere fatico a mantenere la calma con gli evidenti problemi che la cosa può crea alle mie povere coronarie. Ma se soffro di cuore ci guadagno di spirito perché certe cose nella vita non hanno prezzo costino quello che costino!
Sono tanti gli atleti che sono maestri sulla « spinta » eppure è una manovra non facile da fare, ma soprattutto richiede grandi, grandissime qualità che sono: freddezza assoluta nel prepararla ed estrema tranquillità nel momento in cui si esegue.
Normalmente la spinta sul muro o su una pietra è un gesto premeditato a lungo, studiato nei minimi particolari, assaporato e gustato in ogni suo momento. L’approccio alla spinta è fondamentale perché non può essere banale e tanto meno affrettato. Bisogna avvicinarsi al bersaglio, su cui poi appoggiarsi, avendo precedentemente messo lo scafo in perfetta sintonia con l’acqua e con la risalita da fare. La velocità d’arrivo deve essere mantenuta in ogni momento sotto controllo e, dalla iniziale fase calante, si passerà, nell’istante preciso della spinta, alla fase di riaccelerazione massima . Sintonizzare pure la respirazione può aiutare la perfetta realizzazione di questo sublime gesto che ci fa capire, una volta appreso perfettamente, quanta sintonia ci debba essere tra corpo (up e down) e mezzi (pagaia e canoa) per riuscire a sfruttare al meglio questa manovra. Quindi corpo, gambe e tronco, cercheranno in un primo momento una forte dissociazione dal mezzo per poi ritornare in asse a spinta conclusa, quando cioè la rotazione sarà terminata e la fase di propulsione riprenderà il sopravvento.
I pericoli nascosti in questa azione sono molteplici, ma fra tutti c’è la poca determinazione e la fretta nell’esecuzione. Infatti per una buona riuscita non bisogna farsi prendere dall’eccessiva voglia di fare, è un gesto che deve essere costruito con la dovuta calma e tranquillità, ma nello stesso tempo va vissuto appieno e goduto fino alla fine!
Buone spinte a tutti e …
Occhio all’onda!
Sono tanti gli atleti che sono maestri sulla « spinta » eppure è una manovra non facile da fare, ma soprattutto richiede grandi, grandissime qualità che sono: freddezza assoluta nel prepararla ed estrema tranquillità nel momento in cui si esegue.
Normalmente la spinta sul muro o su una pietra è un gesto premeditato a lungo, studiato nei minimi particolari, assaporato e gustato in ogni suo momento. L’approccio alla spinta è fondamentale perché non può essere banale e tanto meno affrettato. Bisogna avvicinarsi al bersaglio, su cui poi appoggiarsi, avendo precedentemente messo lo scafo in perfetta sintonia con l’acqua e con la risalita da fare. La velocità d’arrivo deve essere mantenuta in ogni momento sotto controllo e, dalla iniziale fase calante, si passerà, nell’istante preciso della spinta, alla fase di riaccelerazione massima . Sintonizzare pure la respirazione può aiutare la perfetta realizzazione di questo sublime gesto che ci fa capire, una volta appreso perfettamente, quanta sintonia ci debba essere tra corpo (up e down) e mezzi (pagaia e canoa) per riuscire a sfruttare al meglio questa manovra. Quindi corpo, gambe e tronco, cercheranno in un primo momento una forte dissociazione dal mezzo per poi ritornare in asse a spinta conclusa, quando cioè la rotazione sarà terminata e la fase di propulsione riprenderà il sopravvento.
I pericoli nascosti in questa azione sono molteplici, ma fra tutti c’è la poca determinazione e la fretta nell’esecuzione. Infatti per una buona riuscita non bisogna farsi prendere dall’eccessiva voglia di fare, è un gesto che deve essere costruito con la dovuta calma e tranquillità, ma nello stesso tempo va vissuto appieno e goduto fino alla fine!
Buone spinte a tutti e …
Occhio all’onda!
Duffek o aggancio come lo si voglia chiamare
Etichette: analisi tecnica slalom
Uno dei gesti più belli ed eleganti e che ha una storia tutta sua è il « Duffek » e cioè quello che noi italiani chiamiamo « aggancio ». Pensate che in pratica fino ai mondiali di Merano del 1953 questo modo di mettere la pagaia in acqua era sconosciuto. Poi arriva un cecoslovacco di nome Miloslav Duffek e impressiona il mondo mettendo in essere quello che diventerà uno dei gesti più comuni per chi si diletta fra i paletti dello slalom e non solo. Questo atleta era il favorito numero uno per vincere quell’edizione iridata, ma salta volutamente una porta per non attirare troppo l’attenzione su di sé e per essere libero di realizzare il suo progetto di fuga da una Cecoslovacchia comunista, troppo stretta alla sua voglia di libertà. Finirà solo 27esimo, ma l’occasione per il suo piano arriva alla festa di fine gare, quando cioè le guardie del corpo sono ben ubriache e aiutato dal Team Svizzero scappa nel paese elvetico facendo perdere a lungo le sue tracce.
L’aggancio deve essere interpretato e visto non come un gesto a se stante, ma come la conclusione di un movimento che ha una sua precisa preparazione e che genera il colpo successivo. Una farfalla non nasce farfalla, ma bruco e l’aggancio non nasce aggancio, ma è la trasformazione di una sfilata o di un colpo indietro. Troppo spesso siamo abituati però ad ammirare solo la fase conclusiva e volatile del lepidottero, mentre per il povero, indifeso e brutto animaletto che striscia siamo mossi da compassione.
Quindi bisogna dare maggior attenzione a come far nascere il Duffek che raggiungerà il suo massimo splendore solo quando la sfilata o la frenata indietro hanno concluso il loro cammino. Viceversa forzando i tempi e piazzando in acqua direttamente l'aggancio metteremmo in seria difficoltà il rendimento dell'azione stessa e della muscolatura del corpo nel suo complesso, interrompendo fluidità e scorrevolezza alla barca.
Occhio all’onda!
L’aggancio deve essere interpretato e visto non come un gesto a se stante, ma come la conclusione di un movimento che ha una sua precisa preparazione e che genera il colpo successivo. Una farfalla non nasce farfalla, ma bruco e l’aggancio non nasce aggancio, ma è la trasformazione di una sfilata o di un colpo indietro. Troppo spesso siamo abituati però ad ammirare solo la fase conclusiva e volatile del lepidottero, mentre per il povero, indifeso e brutto animaletto che striscia siamo mossi da compassione.
Quindi bisogna dare maggior attenzione a come far nascere il Duffek che raggiungerà il suo massimo splendore solo quando la sfilata o la frenata indietro hanno concluso il loro cammino. Viceversa forzando i tempi e piazzando in acqua direttamente l'aggancio metteremmo in seria difficoltà il rendimento dell'azione stessa e della muscolatura del corpo nel suo complesso, interrompendo fluidità e scorrevolezza alla barca.
Occhio all’onda!
Percorsi tra i 50 e i 60 secondi
Etichette: analisi tecnica slalom
Uno degli allenamenti specifici più interessanti sono i percorsi da 60 secondi su canali di gara con recuperi completi. In ogni periodo della preparazione assumono una importanza fondamentale per due precisi motivi. Il primo è quello di raccogliere molti dati da analizzare e da confrontare nel corso della preparazione e il secondo porta l'atleta ad avvicinarsi ai ritmi di gara con più facilità anche in questo periodo. Stimoli importanti da tenere comunque sempre attivati a dovere.
E' interessante prendere degli intermedi tra risalita e risalita così ad esempio se abbiamo quattro porte di questo genere possiamo avere cinque riferimenti cronometrici più il tempo totale, oltre alle penalità e video. Sarà facile per un allenatore fare tutto questo da solo organizzandosi con un cronometro con le memorie in maniera tale che alla fine della discesa si possano ritrascrivere i dati ed elaborarli.
Le informazioni che si possono ricavare sono molte ad esempio:
1. percentuale di penalità sul totale del lavoro;
2. percentuale di penalità sulle discese;
3. percentuale di discesa pulite;
4. percentuale di un potenziale miglioramento;
5. il totale del lavoro attivo svolto;
6. la media di distanza tra risalita e risalita;
7. la percentuale di distacco dal miglior tempo;
Tutti dati che ci aiutano a capire l'andamento dell'atleta tanto più se via via vengono archiviati e messi a confronto durante i diversi periodi dell'anno.
Trovo interessante tutto ciò anche per un altro motivo che è quello di offrire all'atleta un'altra chiave di lettura del suo allenamento mentre si analizza il video. Capita infatti che anche atleti evoluti abbiano sensazioni non corrispondenti al reale valore effettivamente espresso, magari semplicemente per cattive condizioni fisiche o perché qualche errore ha condizionato la loro percezione negativamente. Ecco la necessità di fornire dati e video al fine di ridare fiducia e motivazione al nostro atleta, che rivedendosi molte volte si rende conto che effettivamente l'allenamento è andato a buon fine. Questo è un altro aspetto che presto analizzeremo considerando il fatto che è proprio qui che molto spesso c'è la differenza tra chi vince e chi invece fatica a raggiungere l'obiettivo.
Occhio all'onda!