Flow e Peak Performance

 


 Non voglio andare a scomodare personaggi come W.Morgan o Johnson illustri studiosi di psiche umana, ma se noi prendiamo solo la sintesi degli studi di Hanin (1978) che introduce  per primo il concetto di "zona di funzionamento ottimale" nella prestazione sportiva sommato al fatto delle sperimentazioni di Unestahl (1981) sullo stato di performing ideale, capiamo velocemente che la prestazione sportiva viene influenzata da quella che in sintesi molti definiscono  "flow" o "peak performance". Possiamo parlare di una sorta di ipnosi da prestazione che permette all’atleta di dare il massimo di se stesso nel momento della gara. Mi chiedo però come possiamo allenare questo fattore anche perché, in molti casi, gli atleti cercano e credono che quello stato psicofisico si possa avere solo in occasione di un grande evento. Certo, lo stimolo, la motivazione e la situazione di un momento possono favorire questo stato, ma la vera differenza si può fare quando ci si allena: la differenza è vivere in questo stato di assoluta carica emotiva sempre. Questo flow  deve essere costantemente allenato e perfezionato ogni giorno, in ogni pagaiata, in ogni momento o situazione che ci troviamo a vivere, in una sorta di peak performance quotidiano anche nelle cose più semplici e ripetitive. Parte tutto dall’allenamento, parte dalla costanza nel costruire un risultato che matura di giorno in giorno nell’atleta stesso. Una costruzione e un lavoro certosino che ha come punto di partenza un obiettivo preciso che evidentemente per l’atleta è quello di un alloro olimpico, per un allenatore creare le situazione perché questo avvenga e per le persone in generale per vivere meglio e più intensamente. Soffro nel vedere che spesso gli atleti durante l’allenamento non sono sufficientemente concentrati o emotivamente coinvolti. Lo stato emozionale è fondamentale che sia sempre attivato anche in allenamento, quando pagai, quando prepari una prestazione che non sia solo la gara stessa. Ogni allenamento deve essere preparato con la massima cura, come se non ci fosse un domani! Vedo atleti che se toccano in gara si innervosiscono, ma che non danno la stessa importanza a questo in allenamento. L’errore in gara rimane a lungo nella psiche, mentre l’errore in allenamento si dissolve velocemente, dimenticando o giustificando troppo facilmente l’accaduto e quindi c’è il rischio concreto di ricaderci. Noi allenatori abbiamo il compito di tenere alto l’interesse in ogni fase della preparazione, che sia gara, allenamento o quotidianità. Massima attenzione ad ogni elemento partendo dai materiali, al modo di approcciarsi e riscaldarsi per l’attività, l’analisi successiva: fermarsi, anche pochi minuti, sempre con gli atleti finita la sessione per un breve sintesi di quanto fatto. Analizzare le positività (che ci sono sempre) verificare le criticità e trovare assieme subito risposte. L’atleta quando esce dall’acqua deve avere avuto già un feedback da parte nostra e deve aver fatto una auto valutazione tenendo le cose importanti, scartando le cose non necessarie con la consapevolezza di avere risposte e conoscenze di come eliminare gli errori. Quando mi alzo alla mattina, qui a Rio, molto presto per la verità, ho una sorta di rito che mi permette di entrare in flow rapidamente ed è quello di indossare la divisa della squadra che sto allenando. Da quel momento in poi il mio stato emozionale è attivato e mi sento pronto per dare il meglio che posso per tutto il tempo in cui quei colori sono in me ed invadono il mio essere e le mie emozioni. Perché so che molto di quello che succederà ai miei atleti durante la giornata dipenderà dall’energia che saprò trasmettere.

 

Occhio all’onda!

 

riflessioni  nate da questa frase intercorsa con un tecnico: "La domanda è: come fai ad alternare in maniera efficace fasi di vita piena dove ti fai trasportare dagli eventi e fasi dove riacquisti ordine e controllo delle cose  (o almeno una parvenza)"?


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