0 all'organizzazione e 10 al Boarding Slalom ICF

Per fortuna che alla fine ci sono gli atleti che ci fanno dimenticare quanto può essere triste e povero un Campionato del Mondo se organizzato senza passione e amore per uno sport che vive principalmente di questi due grandi sentimenti umani. Il mondiale di Rio, che è da considerare la 40^ edizione iridata assegnata e la 39^ disputata, sarà ricordata come un evento riservato solo agli addetti ai lavori, una sorta di finale a porte chiuse come quello che successe al Napoli di Maradona nel 1987, quando al Bernabeu contro il Real Madrid, in quella che allora si chiamava Coppa dei Campioni, si giocò a porte chiuse lasciando tutta la tifoseria fuori dallo stadio a causa degli incidenti di qualche giorno prima. Tanto per la cronaca il Napoli perse 2 a 0,  gol di Michel al 18’ e autogol di De Napoli al 76’. 
A Rio si sarebbero dovute fare altre scelte rispetto a quelle adottate. Si doveva privilegiare e considerare di più gli atleti che all’arrivo non avevano a disposizione neppure un bicchiere d’acqua fresca o una zona dove potersi cambiare tranquillamente invece di quel grande "open space" in cui le parti intime venivano messe a nudo nel vero senso della parola.  Tecnici costretti a lavorare in sala video come fossero dentro un formicaio, servizi igienici insufficienti e i pochi mal funzionanti.  Completa assenza delle bandiere delle nazioni partecipanti sul campo di gara, segno di mancato rispetto nei confronti di tutti i paesi che hanno speso soldi, e tanti, per essere presenti e per gareggiare senza un minimo di riconoscimento. Siamo arrivati pure all'assurdo  di optare al momento della premiazione e dell'inno per uno sventolio virtuale su uno schermo; mentre agli atleti, nel paese della « natureza » per antonomasia non sono neppure stati offerti dei fiori. Sarebbe stata bella, facile ed econimica l'idea di offrire almeno dei cesti di frutta.
Abbiamo toccato il fondo sotto molti punti di vista considerando la completa assenza di  pubblico sul campo che rendeva l’atmosfera decisamente spettrale. La gente non può arrivare se non si pubblicizza l’evento in maniera adeguata e non mi si dica che anche questo ha un costo visto che chi ha organizzato e cioè la Federazione Brasiliana di Canoa, ha uffici e personale a disposizione 12 mesi all’anno e il direttore dei grandi eventi, e quindi anche di questo mondiale, Sebastian Quattrin,  certo non è uno sprovveduto.  Si pensi che nemmeno nel diretto circondario di Deodoro la gente era a conoscenza di questo evento di portata mondiale. Nessuno striscione, neppure all’entrata del Campo Olimpico per non parlare nel resto di una città che fa, dichiarati nel 2010, oltre 6 milioni di abitanti! Soldi? Problemi di sicurezza? Per favore non prendiamoci in giro e non prendiamo per i fondelli gli atleti che hanno diritto di disputare un mondiale con tutti i carismi che un mondiale deve avere.  
Non dico nulla sul merchandising perché nulla c’è da dire. Gli atleti, gli allenatori, i dirigenti e i pochi spettatori arrivati dall’Europa come francesi, tedeschi e inglesi (il papà di Davide Florence non può mancare altrimenti non si fanno le gare)  sono tornati a casa senza neppure un gadget,  una maglietta o un berrettino. Anche volendo acquistarli era impossibile visto che   solo allo staff organizzativo e ovviamente i giudici presenti era stato concesso l’onore di avere almeno una maglietta con il logo del mondiale. Vogliamo parlare del logo? Semplicemente di una banalità assurda,  un tentativo mancato  di trovare un aggancio tra la  città che ospitava il campionato del mondo con il profilo del «Pan de azucar» e la teleferica o meglio «bondinho» come la conoscono i carioca, e il Campionato del Mondo di  slalom.  Anche il carattere utilizzato avrebbe potuto essere quello che fu già di Rio 2016 e cambiando solo la data si sarebbe fatto un diretto collegamento ai Giochi Olimpici disputati sullo stesso canale solo due anni prima. Un simbolo adatto più ad un raduno canoistico che ad una competizione di così alto livello.
Dicevo che per fortuna gli atleti ci hanno regalato momenti indimenticabili grazie alla loro professionalità e voglia di vita che va oltre ad ogni inghippo organizzativo. Poi ci sono stati i Team Nazionali che hanno sopperito a tutte le mancanze organizzative cercando di mettere i propri atleti nelle migliori condizioni per esprimersi in acqua.
Da elogiare viceversa  il grande sforzo di chi dirige a livello internazionale il movimento dello slalom costretto ad operare in condizioni assurde andando a risolvere i più banali dei problemi che un Comitato Organizzatore deve conoscere e risolvere per suo proprio conto. Sicuramente l’ICF, che ha anticipato diverse migliaia di euro, ha fatto dei veri e propri miracoli per non cancellare un mondiale che se non disputato certo ci screditava agli occhi del CIO in maniera molto pesante. 
Archiviamo così il terzo mondiale assoluto disputato in Brasile (Tres Coroas 1997, Foz do Iguaçu 2007 e Rio 2018), guardiamo avanti e fiduciosi prepariamo la selezione Olimpica 2019 in una La Seu che certamente non ci deluderà fosse solo per rispettare una tradizione nata oltre 25 anni fa.

Occhio all’onda!  


Il logo scelto per il mondiale di slalom numero 40 
 
Area atleti


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