Allenarsi senza perdere l'obiettivo Gare


La seconda riflessione è legata ad una comparazione fra l’allenamento e la gara. Sempre, all’inizio di ogni proposta di allenamento mi faccio questa domanda: ai fini del risultato e quindi della gara a che cosa mi porterà l’allenamento di oggi? Molto spesso ricordo all’atleta che si sta allenando per un obiettivo chiaro e non per il piacere di farlo, visto che se fosse così ci sono tanti altri modi per divertirsi e tenersi in forma, tipo una bella partita a tennis, una corsetta o una bella biciclettata in montagna, anche un po’ di palestra non è poi così male. Questo si chiama fitness. Troppo spesso ci si allena per allenarsi perdendo il chiaro obiettivo della competizione. Così facendo però l’atleta di livello si mette in pace con se stesso e la sua coscienza affidando al fisico la risoluzione dei suoi problemi. Mi convinco sempre di più che molti allenamenti hanno poca utilità al fine del raggiungimento dell’obiettivo. La specificità diventa lo strumento trainante per una programmazione dell’allenamento. Mi impressiono nel vedere atleti lavorare su circuiti in canoa molto duri che si discostano di molto dal gesto tecnico che si vuole viceversa allenare e che deve essere messo in atto nel momento decisivo. Si potrebbe giustificare tutto ciò con il principio di allenamenti mirati alle diverse capacità condizionali, ma siamo proprio sicuri che questo lavoro non inquini viceversa un corretto ed efficace gesto tecnico? Tornando ai giovani, quale potrebbe essere la chiave di lettura a fronte delle osservazioni sopra esposte?
Come la vedo io bisogna puntare molto sulla propriocettività nel tentativo di mettere l’allievo nella condizione di trovare velocemente soluzioni adeguate e, a mano a mano che il livello cresce, anche veloci. Ritenendo che non ci siano tecniche uniche e consolidate da insegnare – sono pochi gli sport dove ancora oggi tutto ciò è esaltato all’ennesima potenza, il primo che mi viene in mente è la ginnastica artistica – bisogna puntare l’attenzione su allenamenti altamente specifici e ad alte velocità. Per fare ciò si deve per forza maggiore scegliere percorsi brevi seguendo questo protocollo: l’allievo è libero di trovare le sue soluzione in cui, se siamo in acqua mossa, possa esternare ed affrontare anche le sue paure che molte volte condizionano non poco il gesto tecnico. Il passo successivo sarà quello di proporre diverse soluzioni da provare e da mettere in atto in relazione alle individuali caratteristiche. Il compito dell’allenatore sarà in questo caso quello di diventare una sorta di specchio per il suo allievo, mettendo a confronto ciò che lui stesso ha visto con il vissuto dell’atleta. Sono lavori questi che richiedono molto tempo quasi fino alla noia per la ripetitività magari di certe azioni.
Se riteniamo tutto ciò valido le tabelle di allenamento preconfezionate perdono, a questo punto, il loro significato. Si dovrà viceversa ricercare anche qui il giusto mixage individuale tra allenamenti fisici, tecnici, a secco e in canoa.

Mi sono esaltato non poco oggi sotto le stelle del tendone blu ad osservare gli ex-artisti del circo intenti a lavorare con i loro allievi. Tutti portavano al collo la collana forgiata da Efesto perché la bellezza era in ogni gesto loro e dei giovani discepoli. Chi volteggiava su un cerchio aereo o avvolto da tessuti candidi ed eterei, chi saltando sul tappeto elastico toccava il cielo stellato, chi con clave da giocoliere cercava velocità e precisione. Ho goduto per quel rapporto che ogni maestro singolarmente ha con l’allievo, si concentrano assieme, entrano in simbiosi, cercano di percepire le stesse emozioni, uno entra nell’altro e viceversa. Loro sono professionisti che, spente le luci della ribalta, hanno scelto di accendere ogni giorno le speranze di tanti giovani che rincorrono a loro volta il sogno di un’impresa memorabile, fosse anche il solo fatto di vivere alla grande e senza rimpianti in ogni loro gesto e movimento.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

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