ASPETTANDO GLI EUROPEI...


Questa mattina ho seguito l’allenamento di Zeno dalla tribuna in legno stile far-west ed in attesa della sua discesa successiva mi faceva compagnia un ricordo datato 1984. E’ infatti questo l’anno in cui feci la mia prima trasferta a Liptovsky per la 36esima edizione del Tatranska slalom con il mio compagno di squadra e amico Ivan Pontarollo, che tra l’altro tornò a casa con il Trofeo, e Pierpaolo Ferrazzi. Partii da Verona con una Ford Tanus a noleggio e passai a Valstagna a caricare gli altri due Kappa uno. Una brevissima pausa a Trento Sud dal consigliere federale Fulvio Bonmassar a prendere del cash e poi via per la tanto attesa meta. Ricordo ancora oggi con un certo terrore l’entrata nell’allora Cecoslovacchia. Chilometri di filo spinato con le garitte a baluardo del confine. Una volta arrivati in dogana ci passarono al setaccio scaricando e controllando ogni pezzo della macchina ispezionandone perfino il fondo con un carrello a specchio! A contorno i soldati con tanto di mitra e fare minaccioso. All’entrata un paesaggio desolante: palazzoni grigi, strade con i solchi dei carri sull’asfalto, lungo le strade persone che vendevano quattro cipolle, due peperoni, qualche foglia di lattuga, la stessa mercanzia che più o meno trovavi nei supermercati. Proseguimmo dritti per i monti Tatra e il paesaggio non cambiò di molto. Sento ancora oggi quell’emozione nel vedere per la prima volta questo percorso artificiale, ma soprattutto non posso dimenticare l’incontro con Peter Sodomka. Io avevo conosciuto questo campione cecoslovacco che aveva fatto la storia della canadese monoposto mondiale, attraverso diversi racconti e tanta immaginazione. Il primo impatto lo ebbi nel 1976 quando Renzo Mariani e Alberto Bonamini – un giorno vi racconterò anche di loro – tornarono al Club dopo una trasferta con la nazionale proprio nella terra dell’eroe e portarono con loro la mitica canoa “TSR”, dove “T” stava per Tresnak, “S” per Sodomka e “R” per Radil. I tre vinsero molto singolarmente oltre ai mondiali a squadra in C1 nel 1973 sulla Muotha (Svizzera) e nel 1975 sulla Treska (ex-Yugoslavia). Renzo e Alberto, freschi della loro esperienza internazionale, incantavano noi ragazzini del club, nelle serata passate in Dogana per dissetarci di storie di canoa. Si diceva che Sodomka fosse un sorta di gigante, che impressionasse chiunque per la grandezza delle sue mani e per il suo sguardo piuttosto severo. A colazione mangiava cetrioli e girava sempre con un bilanciere in macchina per scaldarsi prima delle gare. Si raccontava anche che aveva appeso la pagaia al chiodo per terminare la carriera con un successo dopo aver vinto i campionati del mondo nel 1977 (uno fra l’altro dei pochissimi atleti che seppe vincere medaglie in slalom e in discesa). La ragione vera di questo abbandono fu invece dovuta al fatto che, dopo aver visto le classifiche, chiese chi fosse un certo Bob Robinson che aveva fatto registrare il miglior tempo, ma che una penalità di troppo lo rilegò al quarto posto giusto dietro a Karel Tresnak. Lo cercarono questo statunitense poco più che 17enne alto e filiforme, più un personaggio da college e Mc Donald, che pagaia e slalom. Quando Sodomka lo vide ci rimase male. Si avvicinò al nastro nascente del C1 e gli regalò la sua pagaia dicendogli: “ora tocca a te, il mio tempo è finito”! Insomma una scena madre come nel fantastico film “the big Wednesday” quando cioè Matt alla fine della sua impresa nella tanto attesa mareggiata del novembre del 1968 esce dall’acqua e regala la tavola al ragazzino che gliela riportava.
Sodomka ci aveva visto bene perché solo due anni più tardi questo “sbarbino” assieme a David Hearn e Jon Lugbill diede vita al ciclo d’oro a stelle e strisce.
Sodomka mi si parò davanti in quel maggio dell’84 e non ebbi nessun dubbio a riconoscerlo. Effettivamente un gigante, ma lo sguardo non era più quello che metteva in soggezione gli avversari, anzi sembrava dolce e affabile. Mi ricordo che rimase tutti e tre i giorni delle gare sul ponte che collega i due canali e seguiva con attenzione ogni canoista ed io rimasi per molto tempo a godere nel dividere quell’angusto spazio con chi per molte volte aveva percorso la mia fantasia sportiva. Di lui mi sono ritrovato a parlare recentemente e cioè a Pau, in occasione della prima prova di Coppa del Mondo di slalom, con un altro mostro sacro della canoa e cioè Jil Zok. Infatti ho avuto modo di passare alcune ore con il francese nove volte campione del mondo nella specialità della canadese monoposto discesa per completare la prima parte di un libro su Vladi Panato che sto scrivendo. Zok parlava molto ammirato di Sodomka e al solo nominarlo gli si illuminavano gli occhi. “Fu il primo a far saltare la coda per cambiare direzione – mi spiegò e aggiunse – poi con il tempo questa tecnica la feci mia migliorandola. Ora Panato ne è il vero artista”.
Alla fine di quei tre giorni di gare, ricordo che fu invitato a presenziare alle premiazioni, lo cercarono, lo chiamarono, attesero qualche decina di minuti, ma lui il grande Peter Sodomka aveva già preso la strada di casa uscendo di scena, ancora una volta, in silenzio lasciando spazio agli attori di quel momento. Io tornato a casa cercai documenti o quant’altro parlasse di lui, mi fece piacere scoprire che nacque il mio stesso giorno, come Martikan, come Carlo Mercati e chissà quanti altri: un altro toro e si sa che noi siamo legati alle tradizioni e alla storia!

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi - Campionati Europei Slalom Junior & 23 Liptvosky (SVK)

Commenti

  1. azz' m'hai quasi commosso, benché non conosca Sodomka nè gli altri!..
    certo però che anche voi.. ma si può andare all'est con un Taunus?.. potevate prendere una Zastava, o una Trabant..
    e poi chissà quante penne bic e quanti collants avevate nel bagagliaio... he he he

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari