La matita

Rimettendo ordine a casa di mia mamma ho ritrovato un piccolo oggetto che ha accompagnato la mia infanzia e che mi faceva capire che le cose devono essere utilizzate fino al loro esaurimento completo e non usate per metà e poi gettate via. Un piccolo segnale che la dice lunga sul modo di vivere della generazione che mi ha preceduto e che portava con sé valori profondi, usciti e concretizzati da una guerra che li aveva visti, loro malgrado, protagonisti.  In sostanza un estensore che permetteva alle matite di fare la loro funzione fino praticamente al loro esaurimento assoluto. Infatti quando non potevi più tenere in mano la matita o il colore per  scrivere o per disegnare prendevi questa sorta di mozzicone e lo infilavi in un tubicino lungo più o meno una decina di centimetri e la vita della matita proseguiva ancora a lungo. Mio papà, che era uomo di raffinata cultura amante dello studio tanto quanto appassionato pittore e scrittore,  ne possedeva di varie tipologie. Si andava dal più classico in bambù con la possibilità di inserire una sola matita a quelli nello stesso materiale, ma con doppia apertura. Di questi mi affascinava l’anellino che permetteva poi la tenuta nel momento in cui la matita veniva utilizzata. Erano molto particolari semplici, ma nello stesso tempo particolari, testimoniavano una certa ricerca estetica. Poi c’erano gli estensori più raffinati non più in canna di bambù, ma taluni in metallo e altri ancora in argento che  venivano regalati solo ed esclusivamente  per speciali occasioni. Mio papà, dopo l’uso, riponeva la matita con il suo prolungamento nella tasca esterna  della giacca e qualche volta,  dopo che l’oggetto era stato utilizzato, lo riponeva sopra l’orecchio pronto per catturare il successivo momento, immagine, parola o numero che fosse. Più tardi a casa mia arrivarono pure quelli automatici con un pulsante nella parte alta che attivava la molla per aprire la dentatura in modo tale da fissarci il mozzicone di matita. Erano coloratissimi solitamente di rosso in alluminio o in qualche altra lega leggera.  Mi ricordo con quanta eleganza, maestria e scioltezza il mio papà estraeva l’utensile dalla giacca e ne faceva uso per ogni situazione. Mi correggeva i compiti oppure a tavola tra il primo e il secondo faceva i conti con mia mamma sulle spese da sostenere nel mese appuntandosele nella sua inseparabile agenda. Era preciso nello scrivere e fare di conto e oltre alla matita e agenda aveva sempre in tasca un  coltellino che serviva principalmente per tenere appuntite le matite o per tagliare le mele di cui  faceva un uso spropositato.  Era un artista nel fare le punte alle matite e ai colori oltre ad essere un cesellatore nello sbucciare il suo frutto preferito.  La matita era un oggetto considerato sacro e la  usava per disegnare e per scrivere e per annotarsi quei pensieri che sempre lo accompagnavano durante la giornata.  Quando finiva il lavoro in banca qualche volta passava dalla vecchia Dogana a vedermi pagaiare e ne approfittava per prendere spunti per i suoi disegni. Io magari scendevo verso di lui per salutarlo e lo trovavo intento a trascrivere nella sua agenda particolari e dettagli della nostra vecchia e amata sede canoista, un tempo ricca di vita e commercio, proprio per la sua funzione di controllo merci che arrivavano dall’Adige.
Oggi la matita è caduta in disuso anche se non nascondo il fatto che io, nonostante tutta la tecnologia a cui siamo oramai legati,  la uso con piacere per annotarmi allenamenti e percorsi che fanno i miei atleti in quella sorta di quaderno bianco che mi accompagna ovunque e la mia fantasia mi riporta a quando da bambino ammiravo con orgoglio mio papà appuntarsi la vita!

Occhio all’onda! 



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