Duffek o aggancio come lo si voglia chiamare

Uno dei gesti più belli ed eleganti e che ha una storia tutta sua è il « Duffek »  e cioè quello che noi italiani chiamiamo « aggancio ». Pensate che in pratica fino ai mondiali di Merano del 1953 questo modo di mettere la pagaia in acqua era sconosciuto. Poi arriva  un cecoslovacco di nome Miloslav Duffek e impressiona il mondo mettendo in essere quello che diventerà uno dei gesti più comuni per chi si diletta fra i paletti dello slalom e non solo. Questo atleta era il favorito numero uno per vincere quell’edizione iridata, ma salta volutamente una porta per non attirare troppo l’attenzione su di sé e per essere libero di realizzare il suo  progetto di fuga da una Cecoslovacchia comunista, troppo stretta alla sua voglia di libertà.  Finirà solo 27esimo, ma  l’occasione per il suo piano  arriva alla festa di fine gare,  quando cioè le guardie del corpo sono ben  ubriache e aiutato dal Team Svizzero  scappa nel paese elvetico  facendo  perdere a lungo le sue tracce.
L’aggancio deve essere interpretato e visto non come un gesto a se stante, ma come la conclusione di un movimento che ha  una sua precisa preparazione e che genera il colpo successivo.  Una farfalla non nasce farfalla, ma bruco e l’aggancio non nasce aggancio, ma è la trasformazione di una sfilata  o di un colpo indietro. Troppo spesso siamo abituati però ad ammirare  solo la fase conclusiva e volatile del lepidottero, mentre per il povero, indifeso e brutto animaletto che striscia  siamo mossi da compassione.
Quindi bisogna dare maggior attenzione a come far  nascere il Duffek che raggiungerà il suo massimo splendore solo quando la sfilata o la frenata indietro hanno concluso il loro cammino. Viceversa forzando i tempi e piazzando in acqua direttamente  l'aggancio metteremmo in seria difficoltà il rendimento dell'azione stessa e della muscolatura del corpo nel suo complesso, interrompendo fluidità e scorrevolezza alla barca.

Occhio all’onda!

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