La natura fa il suo corso, ma parliamo di Tecnica



 Princessa è triste perché la  sua amica di scorribande Fiona è caduta nelle fauci dei coccodrilli che sono giusto a lato del parco radical di Deodoro dove è situato il campo olimpico dello slalom - Fiona era una cagnetta tutto pepe, marroncina, bastardina con un muso tutto nero, che correva sempre come una disperata e Princessa le faceva da amica più grande portandola a zonzo nel Parco. Alla mattina ci accoglievano festanti e allegre, pronte a ricevere una montagna di coccole da ognuno  di noi, poi, una volta che ci avevano accompagnato  all’interno del campo di slalom,   riprendevano le loro corse per il Parco.
Questa mattina però Princessa non correva, non scodinzolava come sempre e non abbaiava neppure. Era distesa sul corridoio che porta al rimessaggio canoe e a stento e dopo tanta insistenza, si è messa sulle quattro zampe e ci ha seguito verso lo spogliatoio, triste, triste. La natura fa il suo corso e mi sa che quando Princessa e Fiona sono arrivate allo stagno erano assieme. Poi probabilmente  la giovane cagnetta, vedendo qualcosa muoversi in quell’acqua ricoperta da ogni tipo di vegetazione, si è lanciata verso l’oggetto per scoprire che cosa stava succedendo, ma troppo tardi per tornare indietro e così è finita inghiottita dalle acque e dai suoi abitanti, lasciando l’amica senza più le forze di  reagire e che a stento è tornata alla base. Forse proprio per trovare l’amore che aveva riposto nella sua giovane compagna.  


Parliamo però di  slalom, che è la cosa che mi compete maggiormente  come il mio amico, anzi coscritto,  Leone Venturi mi ricorda dopo aver visto le mie ultime opere pittoriche.  Parliamo quindi di tecnica e di come questa si può migliorare su atleti di buon livello. Facciamo un passo indietro e, guardando  come si allenano gli atleti che devono ancora prendere una loro precisa dimensione, ci rendiamo conto che in allenamento, ma poi anche in gara, affrontano ogni gesto, o meglio, i più complessi,  come se non ci fosse un domani, pensando solo di pagaiare il più forte possibile, apportando ad ogni prova modifiche sostanziali.  Se da un punto di vista di crescita tecnica ci può stare, dall’altro lato ci troviamo di fronte ad un allenamento che non è allenante per l’obiettivo che abbiamo: allenarci per fare le gare! Infatti se l’atleta, ogni volta che affronta una determinata combinazione , cambia l’approccio, cambia l’esecuzione della manovra, magari avvicinandosi troppo al palo, piantando la coda e così via e riparte per  ogni prova  cambiando  ulteriormente i suoi approcci, gli  spazi, le inclinazioni, si metterà in una situazione di grande confusione. Arriva alla fine che non porta a casa nulla, ma soprattutto non si è  allenato tecnicamente per poi affrontare la gara nel miglior modo che gli è possibile. Dobbiamo quindi cambiare uno stereotipo di didattica e di metodo. Dobbiamo cioè prefissare degli obiettivi chiari e precisi e su quelli lavorare su tutta la durata dell’allenamento, senza cambiare nulla, anche se ci rendiamo conto, seduta stante, che quella manovra non ci soddisfa appieno.  Solo così facendo, però , potrò avere alla fine dello slot dati interessanti da elaborare e da studiare. Il vantaggio che ne deriva all’atleta è chiarissimo, sia in caso di elementi positivi,  che negativi. Quindi riassumendo:  l’allenamento tecnico, e per noi gli allenamenti tecnici sono molti, dovranno partire da un preciso obiettivo, quindi lavoreremo sulla  ripetizione del gesto semplice,  per arrivare ad eseguire quella manovra come avevamo deciso di fare e come sappiamo fare.  Sembra ovvio, ma non lo è! Molti di noi  allenatori intervengono nell’allenamento aggiustando elementi, che di per sé sono corretti e magari anche logici, ma che ci allontanano dal far trovare all’atleta continuazione nell’esecuzione di quella specifica manovra che ci interessa. Sottolineo il fatto che dobbiamo lavorare intensamente sulla manovra che l’atleta sa fare e, spesso e volentieri, la soluzione più facile è anche la più veloce.   Stiamo parlando di atleti che cercano le finali e che quindi devono aver costanza e ancora costanza nel mettere in atto manche regolari. Solo così portiamo gli atleti ad esprimere il loro totale  potenziale scoprendo in definitiva qual è e dove questo lo può portare. Quanti talenti e quanti atleti ho visto di ottimo livello naufragare nel nulla solo per il fatto che non sono riusciti o non riuscivano a trovare una base costante per esprimersi? Certo dobbiamo anche lavorare su gesti tecnici nuovi osando sulle linee, ma solo dopo aver una base forte solida e sicura.  Lavorare sull’acqua piatta ci può far capire meglio questo tipo di approccio, diamo al nostro allievo l’obiettivo di ripetere al meglio una combinazione di porte per un certo numero di volte e solo dopo che le ha eseguite passiamo ad esercizi diversi. Ricordiamoci anche di ritornare su quelle manovre giorni dopo e valutiamo se i concetti  si sono ben focalizzati e sono stati fatti propri. Affrontare una combinazione difficile all’inizio a metà o alla fine è diverso e anche su questo dobbiamo lavorare, facendo intervenire, nel momento della gara, la strategia che ci porti a delle scelte ben precise, ma ne parleremo un’altra volta.
Dicevo osservando  i buoni atleti allenarsi sono arrivato alle conclusioni che vi ho illustrato, conclusioni che arrivano anche dal fatto di aver osservato e studiato a lungo anche i grandi campioni nel tempo della loro evoluzione. Questo mi ha portato a questa logica perché la differenza sta proprio qui e cioè sul fatto che, seguendo gli allenamenti,  ti rendi conto di quanto poco sbagli chi costantemente è nelle finali e spesso anche sul podio.

Occhio all’onda!

 

PS vi siete chiesti che cosa è cambiato nella tecnica di Vit Prindis da quando è passato alla corte del super tecnico Jiri Prskavec? 

 


 

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