ANALISI DI UNA STAGIONE DI SLALOM - quarta parte
Siamo arrivati all’analisi della stagione per le canadesi monoposto.
Lo confesso, ma penso che si sia percepito in molti miei scritti, per questa specialità ho una sorta di timore reverenziale, ho rispetto e ammirazione, molto spesso mi commuovo, mi esalto, mi emoziono.
Che cosa c’è di più bello nel vedere una risalita in debordè? Che cosa potrebbe entusiasmare di più di una discesa di Mikal Martikan o di Tony Estanguet dove cerchi di intravedere la loro pala, ma che invece ti rendi conto che sta lavorando costantemente nell’acqua, quasi a modellare i flussi della corrente? Sono nato e cresciuto nel mito di Jon Lugbill e David Hearn, parlando e scoprendo la vita di Peter Sodomka, Tresnak e Radil, con mitici racconti e filmati in bianco e nero. Guardo con ammirazione e incantato la rotazione delle spalle nel debordè del mio piccolo C1 destro… forse non sono il tecnico più appropriato per disquisire delle canadesi: sono troppo di parte, ma ci proverò!
Stagione, tanto per cambiare, all’insegna dei due mostri sacri: Estanguet e Martikan, ma andiamo per ordine. Sono 11 le nazioni che hanno preso almeno una finale con 19 atleti e sei di loro si sono divisi i podi. il tedesco Benzin con quattro medaglie – 1 argento e 3 bronzi – ha dimostrato carattere e soprattutto è migliorato parecchio sotto l’aspetto della fluidità del gesto. Una maturazione che lo ha portato ad essere molto competitivo per tutta la stagione.
La parte del leone l’ha fatto sicuramente la Slovacchia con 11 finali e 7 podi.
Il capolavoro di un’intera stagione è arrivato nella gara a squadre: la pantera (Michal Martikan), il giaguaro (Alexander Slafkovsky) e il puma (Matej Benus – già campione europeo U23) ci hanno incantato con un’opera d’arte che era dai tempi degli uomini a stelle e a strisce che non si vedeva. Il loro tempo avrebbe regalato la quarta piazza fra i K1 uomini a soli 22 centesimi dalla ipotetica medaglia. Meglio di loro solo gli USA nel 1981 a Bala quando fecero registrare il secondo tempo assoluto e chiusero in seconda posizione totale. Allora la gara era praticamente il doppio 246” e 02 centesimi. La squadra di allora era Jon, Ron Lugbill e ovviamente David Hearn, un tocco di Ron all’ultima porta impedì di realizzare il sogno di Jon e cioè quello di battere definitivamente i rivali di sempre: i Kayak uomini.
Dalla loro gli slovacchi non hanno però solo un mostro sacro e due comprimari pronti a salire sul podio, ma possono contare anche su un gruppo di giovani che ha lavorato molto e con intelligenza sulla scia della tradizione e dell’entusiasmo. Su questi spuntano “prime donne” come il campione europeo junior Patrik Gajarsky e l’argento europeo U23 Karol Rozmus, ma a Liptvosky o a Bratislava i piccoli che pagaiano su canoe rosse sono veramente tanti.
I francesi hanno ritrovato un Tony Estanguet che usciva male dalle Olimpiadi. Quest’anno per lui diventava fondamentale riacquistare fiducia, sorriso e motivazione. Aiutato in questo dal fratello che lo ha seguito parecchio aggiustando qualche piccola incertezza tecnica. Si riveste d’iride, riapre il dualismo di sempre e ci fa capire che sarà presente fino a Londra 2012. Mi è piaciuta la dichiarazione a fine gara quando dice che dopo una semifinale perfetta gli sembrava impossibile poter ripetersi. Il trucco però è stato quello di non voler fotocopiare la sua precedente discesa, ma quello di aprirsi e trovare nuove emozioni e nuove soluzioni per una finale che gli ha regalato il secondo titolo di campione del mondo.
Con Tony si sono visti anche due brillanti transalpini Chanut Gargout –compagno anche di barca di Fabien Lefevre – e il ritrovato Nicolas Peschier che era praticamente sparito dopo le Olimpiadi del 2004.
Parlare degli spagnoli mi è facile, visto che ho lavorato con loro fino alla fine di marzo, ma sono una bellissima ed interessantissima realtà. Hanno un fenomeno che si chiama Ander Elosegui che, se manterrà alta la motivazione e l’umiltà, in futuro, ci farà vedere belle cose che nascono dalla semplicità dei suoi movimenti e da un fisico che, se allenato, non teme avversari. Con lui anche un ritrovato Jon Erguin che, invece, di motivazioni per restare ai vertici ne ha da vendere; lui mi ricorda tanto il gesto pulito di Kent Ford ai tempi d’oro e, dopo essere uscito di scena l’anno scorso per un problema alla spalla, ci ha regalato una qualifica mondiale che aveva più il sapore di una finale che di un semplice passaggio di turno. Alle loro spalle cresce bene David Perez, un basco trasferitosi al centro tecnico di La Seu d’Urgell per studiare e per allenarsi a grandi livelli. Il giovane spagnolo, dal fisico possente, agli europei junior ha preso un eccellente ottavo posto.
Ho visto crescere bene la squadra russa che, se da un lato ha deluso fra i senior, dopo la medaglia olimpica in C2 e diverse finali, è decisamente migliorata con gli junior. Infatti sono stati investiti denari e tempo per far partire un progetto a livello giovanile e i primi frutti si sono già visti con il secondo posto di Ruslan Sayfiev, il quarto di Kirill Setkin e il bronzo a squadre ai campionati europei junior. La saggezza è stata quella di mettere i giovani nelle mani del tecnico che aveva, fino all’anno prima, guidato la squadra olimpica. Passaggio questo che ho visto fare a molti team.
Sulla stessa barca ci sono anche i Ceki che, tra i senior, non vivono un grandissimo momento. Stanislav Jezek, che porta il nome del più grande schermitore mondiale di tutti i tempi Alekseevič Pozdnjakov, sembrava più preoccupato a curare la famiglia che a preparare le gare di coppa o mondiali. Lui, un artista della pagaia singola, quest’anno ha subito diverse umiliazioni restando spesso e volentieri a cullare il più piccolo dei figli mentre i colleghi si giocavano le finali. I ceki lo sanno e sono corsi ai rimedi investendo energie nel settore giovani; hanno degli ottimi junior e soprattutto hanno strutture, tecnici e un buon numero di speranze su cui investire.
Il quadro italiano l’ho definito già da molto tempo in molti miei interventi tecnici e non è il caso di ripetermi. Mi rimane solo la speranza che la lungimiranza di qualche uomo politico capisca che è il caso di aprire le gare, in questa affascinante specialità, già dagli allievi. E che non si adduca al fatto che la canadese è uno sport asimmetrico perché allora il tennis, il badminton, lo squash, il tennis tavolo, il baseball, il golf, la scherma che cosa dovrebbero fare? Eppure nel tennis il trofeo Topolino parte dagli 8 anni, ma non è il solo esempio che si può citare. All’estero i nostri allievi e cadetti in canadese monoposto scendono e gareggiano tranquillamente su canali come Bratislava o Tacen, ovviamente con i giusti accorgimenti.
fine quarta parte - Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Lo confesso, ma penso che si sia percepito in molti miei scritti, per questa specialità ho una sorta di timore reverenziale, ho rispetto e ammirazione, molto spesso mi commuovo, mi esalto, mi emoziono.
Che cosa c’è di più bello nel vedere una risalita in debordè? Che cosa potrebbe entusiasmare di più di una discesa di Mikal Martikan o di Tony Estanguet dove cerchi di intravedere la loro pala, ma che invece ti rendi conto che sta lavorando costantemente nell’acqua, quasi a modellare i flussi della corrente? Sono nato e cresciuto nel mito di Jon Lugbill e David Hearn, parlando e scoprendo la vita di Peter Sodomka, Tresnak e Radil, con mitici racconti e filmati in bianco e nero. Guardo con ammirazione e incantato la rotazione delle spalle nel debordè del mio piccolo C1 destro… forse non sono il tecnico più appropriato per disquisire delle canadesi: sono troppo di parte, ma ci proverò!
Stagione, tanto per cambiare, all’insegna dei due mostri sacri: Estanguet e Martikan, ma andiamo per ordine. Sono 11 le nazioni che hanno preso almeno una finale con 19 atleti e sei di loro si sono divisi i podi. il tedesco Benzin con quattro medaglie – 1 argento e 3 bronzi – ha dimostrato carattere e soprattutto è migliorato parecchio sotto l’aspetto della fluidità del gesto. Una maturazione che lo ha portato ad essere molto competitivo per tutta la stagione.
La parte del leone l’ha fatto sicuramente la Slovacchia con 11 finali e 7 podi.
Il capolavoro di un’intera stagione è arrivato nella gara a squadre: la pantera (Michal Martikan), il giaguaro (Alexander Slafkovsky) e il puma (Matej Benus – già campione europeo U23) ci hanno incantato con un’opera d’arte che era dai tempi degli uomini a stelle e a strisce che non si vedeva. Il loro tempo avrebbe regalato la quarta piazza fra i K1 uomini a soli 22 centesimi dalla ipotetica medaglia. Meglio di loro solo gli USA nel 1981 a Bala quando fecero registrare il secondo tempo assoluto e chiusero in seconda posizione totale. Allora la gara era praticamente il doppio 246” e 02 centesimi. La squadra di allora era Jon, Ron Lugbill e ovviamente David Hearn, un tocco di Ron all’ultima porta impedì di realizzare il sogno di Jon e cioè quello di battere definitivamente i rivali di sempre: i Kayak uomini.
Dalla loro gli slovacchi non hanno però solo un mostro sacro e due comprimari pronti a salire sul podio, ma possono contare anche su un gruppo di giovani che ha lavorato molto e con intelligenza sulla scia della tradizione e dell’entusiasmo. Su questi spuntano “prime donne” come il campione europeo junior Patrik Gajarsky e l’argento europeo U23 Karol Rozmus, ma a Liptvosky o a Bratislava i piccoli che pagaiano su canoe rosse sono veramente tanti.
I francesi hanno ritrovato un Tony Estanguet che usciva male dalle Olimpiadi. Quest’anno per lui diventava fondamentale riacquistare fiducia, sorriso e motivazione. Aiutato in questo dal fratello che lo ha seguito parecchio aggiustando qualche piccola incertezza tecnica. Si riveste d’iride, riapre il dualismo di sempre e ci fa capire che sarà presente fino a Londra 2012. Mi è piaciuta la dichiarazione a fine gara quando dice che dopo una semifinale perfetta gli sembrava impossibile poter ripetersi. Il trucco però è stato quello di non voler fotocopiare la sua precedente discesa, ma quello di aprirsi e trovare nuove emozioni e nuove soluzioni per una finale che gli ha regalato il secondo titolo di campione del mondo.
Con Tony si sono visti anche due brillanti transalpini Chanut Gargout –compagno anche di barca di Fabien Lefevre – e il ritrovato Nicolas Peschier che era praticamente sparito dopo le Olimpiadi del 2004.
Parlare degli spagnoli mi è facile, visto che ho lavorato con loro fino alla fine di marzo, ma sono una bellissima ed interessantissima realtà. Hanno un fenomeno che si chiama Ander Elosegui che, se manterrà alta la motivazione e l’umiltà, in futuro, ci farà vedere belle cose che nascono dalla semplicità dei suoi movimenti e da un fisico che, se allenato, non teme avversari. Con lui anche un ritrovato Jon Erguin che, invece, di motivazioni per restare ai vertici ne ha da vendere; lui mi ricorda tanto il gesto pulito di Kent Ford ai tempi d’oro e, dopo essere uscito di scena l’anno scorso per un problema alla spalla, ci ha regalato una qualifica mondiale che aveva più il sapore di una finale che di un semplice passaggio di turno. Alle loro spalle cresce bene David Perez, un basco trasferitosi al centro tecnico di La Seu d’Urgell per studiare e per allenarsi a grandi livelli. Il giovane spagnolo, dal fisico possente, agli europei junior ha preso un eccellente ottavo posto.
Ho visto crescere bene la squadra russa che, se da un lato ha deluso fra i senior, dopo la medaglia olimpica in C2 e diverse finali, è decisamente migliorata con gli junior. Infatti sono stati investiti denari e tempo per far partire un progetto a livello giovanile e i primi frutti si sono già visti con il secondo posto di Ruslan Sayfiev, il quarto di Kirill Setkin e il bronzo a squadre ai campionati europei junior. La saggezza è stata quella di mettere i giovani nelle mani del tecnico che aveva, fino all’anno prima, guidato la squadra olimpica. Passaggio questo che ho visto fare a molti team.
Sulla stessa barca ci sono anche i Ceki che, tra i senior, non vivono un grandissimo momento. Stanislav Jezek, che porta il nome del più grande schermitore mondiale di tutti i tempi Alekseevič Pozdnjakov, sembrava più preoccupato a curare la famiglia che a preparare le gare di coppa o mondiali. Lui, un artista della pagaia singola, quest’anno ha subito diverse umiliazioni restando spesso e volentieri a cullare il più piccolo dei figli mentre i colleghi si giocavano le finali. I ceki lo sanno e sono corsi ai rimedi investendo energie nel settore giovani; hanno degli ottimi junior e soprattutto hanno strutture, tecnici e un buon numero di speranze su cui investire.
Il quadro italiano l’ho definito già da molto tempo in molti miei interventi tecnici e non è il caso di ripetermi. Mi rimane solo la speranza che la lungimiranza di qualche uomo politico capisca che è il caso di aprire le gare, in questa affascinante specialità, già dagli allievi. E che non si adduca al fatto che la canadese è uno sport asimmetrico perché allora il tennis, il badminton, lo squash, il tennis tavolo, il baseball, il golf, la scherma che cosa dovrebbero fare? Eppure nel tennis il trofeo Topolino parte dagli 8 anni, ma non è il solo esempio che si può citare. All’estero i nostri allievi e cadetti in canadese monoposto scendono e gareggiano tranquillamente su canali come Bratislava o Tacen, ovviamente con i giusti accorgimenti.
fine quarta parte - Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
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nella foto in alto Ander Elosegi - Beijing aprile 2008
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