Van Der Schulenburg e Cavallotti alla scoperta del tango
Fatto inquietante, ma molto interessante, tant’è che ve lo racconto perché mai si direbbe che anche i nostri gloriosi avi si possano occupare delle cose frivole della vita che però toccano il cuore. Per venire alla sostanza dei fatti mi trovavo a passare in quel di piazza dei Signori e per tagliar il mio cammino presi la scorciatoia del mercato vecchio passando per il Cortile del Tribunale. Era ancora scuro e di buon ora, certo non ero nel pieno delle mie funzioni viste le ore tarde della notte precedente passata a tagliar ricotta affumicata e a bere birra slovacca sotto l’albero di cachi che sovrasta il mio giardino. La compagnia era così bella e spensierata che la notte è passata con la mia sposa e i maestri di quell’arte sopraffina che ti fa girare, girare e ancora volare. La sveglia mattutina mi aveva cacciato giù dal letto di buon ora, ma se pur in quelle condizioni le voci e le espressioni di "quei due" in quel punto erano chiare e vive. Insomma Jan Matthias Von Der Schulenburg, noto difensore dai turchi in quel di Corfù e governatore militare di Verona stava chiedendo lumi a Felice Cavallotti, poeta, giornalista, parlamentare in un momento molto particolare della nostra Italia e cioè in pieno risorgimento. In sostanza il tedesco, amante dell’arte, aveva rivissuto emozioni a lui lontane in una sera quasi estiva anche se un temporale aveva rinfrescato l’aria più del dovuto. “Senti un po’ rivoluzionario garibaldino - esordisce il feldmaresciallo e conte del Sacro Romano Impero - raccontami bene che ci fanno tutti i martedì personaggi un po’ atipici sotto il tuo busto, ma soprattutto mi sembra di aver notato un movimento un po’ strano tra una ricciolina carina, sicuramente abruzzese per modi e tratti, e uno scozzese di piccola taglia, ma robusto che si cimenta avvinghiato alla giovin pulzella trascinandola in modo alquanto originale da parte a parte di quello spazio angusto che tanto ti è caro”. Il deputato, con far sornione, se la ride sotto il baffo ungherese e sembra cadere in una sorta di catalessi. Le parole gli escono con quell’accento lumbard che neppure la lunga permanenza a Roma gli ha cambiato: ”Caro generale, da quassù non mi sfugge nulla e ti devo dire che con l’inizio dell’estate la zona si anima e specialmente alla notte di tutti i Martis dies arrivano personaggi stranamente vestiti e che quatti quatti, non so perché, giunti nella piazza, dove tu da tempo soggiorni, si cambiano le scarpe e sempre con far sospetto si appropinquano sotto di me”. Il conte conosce il fatto suo e prima che il poeta riprenda il seguito del racconto urla ai quattro venti: “ch’è questa usanza turca che ho visto in quel di Cefalù quando respingemmo da terra e da mare un’ondata di derelitti disposti a tutto in nome di un imperatore?” “Prenditi tempo che ora ti racconto caro conte! - interviene il Felice Cavallotti e prosegue - Indossate scarpette magiche con suole di raso e gomma e dopo essersi agghindati con cura, scelgono una dama, le offrono la man sinistra, quella libera dalla spada. Ah! che ricordi drammatici di quest’arma che in duello mi trafisse e pose fine alla mia vita di guerriero e combattente per la causa del popolo noi che...” Fulminea la reazione del vecchio generale che interviene nuovamente: “Senti vecchia volpe da strapazzo, lascia stare i ricordi che sono andati. Vivi il presente e raccontami ciò di cui ti ho chiesto”. Cavallotti rinsavito dall’urlo de teutonico prosegue:”Lei, la dama, scodinzolando come un rametto d’ulivo a primavera, sorride, si guarda intorno, aspetta che tutti la guardino e, alla fine, fingendosi sorpresa e con occhi che sembrano dire: chi io? Accetta il gentil invito, porge la sua man destra quella dove si legge il futuro e... spariscono entrambi”. Il conte sembra irritarsi ancora ed esclama:”senti poeta che ha voluto far le pulci al grande Carducci, come spariscono? Da qui, se pur con angusta vista, noto un gran movimento, tutti che si muovono, si sovrastano, si fermano, ruotano, ritornano, convogliano al centro. Si fermano, ripartono e dopo quattro pause... le ho contate bene perché tutto mi si può dire ma sulla matematica ho basato le mie strategie di battaglia, ti dicevo che dopo quattro stop cambian compagna e ripartono come prima”. Stanco e affaticato il poeta Cavallotti sporge il capo sulla piazza delle poste, guarda il suo gingko biloba, che in autunno gli regala immagini uniche e sublimi con quell’oro di foglie così belle che verrebbe voglia di fermare il tempo e, rassegnato, torna a guardare in piazza del tribunale dove il federmaresciallo è in attesa della fine del racconto. “Ebbene sì spariscono! Diventano un corpo unico, volano su questo marmetto rosso, girano, rigirano, con maestria e una musica, di cui avevo avuto notizia da Giuseppe Garibaldi che in sud America era scappato da esule con l’idea di portare i principi mazziniani, li accompagna scandendo pause, velocità, movimenti, ritmi. Un divertimento vederli e sentire queste note che di martes in martes vado a conoscere sempre meglio” .
Io mi fermo in mezzo alla piazza, non sento più le voci dei due personaggi, mi guardo attorno, la piazza si anima e le due statue ritornano immobili come lo sono ora!
Occhio all’onda!
Io mi fermo in mezzo alla piazza, non sento più le voci dei due personaggi, mi guardo attorno, la piazza si anima e le due statue ritornano immobili come lo sono ora!
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