Anche lo slalom a cinque cerchi conferma il valore dei migliori atleti
Devo essere sincero: quando ho visto tagliare il nastro di lana, o meglio, quello che era una volta il filo di lana e che oggi invece, come è tradizione in tutte le maratone del mondo, non è che un nastro con il nome della gara che si sta svolgendo, ho avuto un senso di tristezza. Un eroe come keniota Eliud Kipchoge avrebbe avuto tutto il diritto di entrare da trionfatore nello stadio Olimpico di Tokyo, quello che ospitò anche i Giochi Olimpici del 1964, e dove la leggenda Abele Bikila scrisse un’altra infinita pagina della storia dell’atletica leggera, come lui ha fatto oggi vincendo la sua seconda maratona olimpica di fila. Invece, colui che fino ai 30 chilometri era rimasto nel gruppo a giocare e a sorridere, per poi andarsene in solitaria per mettersi, all’età di 36 anni, un altro oro al collo a distanza di 5 anni da quello di Rio, ha dovuto accontentarsi di un arrivo in quel di Sapporo quasi nell’anonimato: senza pubblico, senza uno stadio che lo accogliesse prima e lo avvolgesse poi per il giro d’onore, a prendersi gli applausi e la gloria che un campione del suo calibro merita. Il pubblico! Ecco l’elemento che è mancato e che ha lasciato il vuoto ogni qualvolta si intravedevano le immense tribune tristemente spoglie. Una saggia regia televisiva ha cercato di minimizzare l’impatto che, però, inevitabilmente c’è stato. Per fortuna per il recordman Kipchoge c’è stato il trionfo a chilometri di distanza con la premiazione all'interno della cerimonia di chiusura. E questa volta circondato dall’affetto e dal calore di tanti suoi colleghi atleti che nello stadio prendevano parte all’ultimo atto di una Olimpiade che verrà ricordata a lungo per tanti motivi. Uno tra questi il modo di seguire, televisivamente palando, ogni evento, ogni sport grazie all’offerta di network a pagamento che ci hanno permesso di non perdere nulla, ma soprattutto ci hanno fatto scegliere che cosa vedere in maniera precisa e puntuale. I brutti singhiozzi messi in scena dalla Rai fanno innervosire anche il più mansueto degli appassionati che si vedono troncare gare per lasciare spazio a TG, pubblicità o per tuffarti in un’altra gara senza logica.
Un capitolo dello sport si è chiuso per aprirne subito un altro in diretto collegamento con Parigi, dove Tony Estanguet, davanti al mondo, firma il prossimo appuntamento mondiale che già si preannuncia pieno di sorprese.
Restiamo però in ciò che ci compete e guardando gli atleti che sono andati a podio ai Giochi Olimpici di Tokyo nella canoa slalom salta all’occhio un dato preciso: tutti e 12 pagatori medagliati non erano certo privi di esperienza, nel senso che erano già saliti su podi iridati, di coppa del mondo o europei. Per dirla a maniera giornalistica non c’è stata nessuna sorpresa, ma solo certezze di un copione già visto.
Di questi 12 solo 3 erano all’esordio a gare a cinque cerchi e rispettivamente: Ricarda Funk, Lukas Rohan e Mallory Franklin. Anche Andrea Herzog era alla sua prima esperienza olimpica, ma probabilmente solo per il fatto che il C1 donne era presente per la prima volta. Degli 8 restanti già 6 avevano preso medaglie ai Giochi Olimpici.
L’età media complessiva a medaglia è di 28 anni e mezzo così distribuita:
C1 donne 25
K1 donne 31.3
C1 uomini 30.3
K1 uomini 28
Occhio all’onda!
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