Terza fase di una risalita
Paese che vai presa elettrica che trovi e qui in Australia sono veramente strane. Fare una foto sarebbe troppo facile per spiegarvi come sono fatte, ci provo invece con le parole e vediamo in che labirinto mi infilo! Ok fate conto di vedere le nostre spine: due ferretti perfettamente paralleli tra loro che in gergo tecnico sono descritti come due contatti cilindrici con diametro 4 con interasse 19 mm, leggermente convergenti. Qui i due ferretti o contatti sono perfettamente piatti e sono inclinati esattamente di 30° rispetto alla verticale, formano cioè una “V”. Le prese sui muri offrono la possibilità di inserire anche un terzo ferro perfettamente diritto e più lungo degli altri due: la messa a terra. Fate conto di vedere la faccia di un cinese che ha appena mangiato una fetta di limone. La cosa interessante però delle spine elettriche di ogni utensile è quella di avere una caratteristica molto utile. Infatti noi per estrarre la spina dalla presa del muro afferriamo il filo e tiriamo o, nel migliore delle ipotesi, afferriamo con due dita la spina stessa e tiriamo. Qui invece le spine sono dotate di una specie di anello che ti permette di infilarci dentro il dito medio in modo tale che puoi tirare tranquillamente senza danneggiare il filo elettrico.
Fischia, sono tutto sudato, ma sono uscito ancora vivo dal labirinto in cui mi ero cacciato. Poi morso dalla curiosità sono andato su internet e ho visto che questo tipo di spina si usa oltre che in Australia anche in Argentina, Cina, Nuova Guinea, Nuova Zelanda e Uruguay.
A parte ciò vorrei farvi partecipi di un’osservazione tecnica. In sostanza la fase più critica in una risalita è la rotazione della canoa al suo intero e la successiva fase di uscita.
Partirei dicendo che il livello generale tecnico per l’approccio ad una risalita è cresciuto notevolmente. Cioè molti atleti preparano bene la porta stessa e sono in grado di eseguire al meglio le manovre di avvicinamento e taglio all’interno della porta. Solo in questa terza fase si notano notevoli differenze tra atleti molto evoluti e atleti che stanno crescendo e che viceversa cercano una prestazione importante. In una risalita classica la sequenza può essere questa: preparazione - approccio - entrata - rotazione della coda - spostamento del busto avanti - uscita.
Cambia il modo con cui si utilizza la pala in relazione anche al tipo di risalita e all’acqua relativa. C’è chi preferisce utilizzare il Duffek o chi viceversa usa più facilmente la frenata interna. Indipendentemente dal tipo di manovra utilizzata si rischia di bloccare la coda e la sua conseguente rotazione una vola inserita la stessa nell’acqua. L’errore più frequente è quello di utilizzare il colpo a valle non per lasciar correre la canoa verso il basso, ma per mantenere la punta verso monte. Dal mio punto di vista sono tanti i fattori che concorrono a fare ciò. Il primo assoluto è quello di voler fare qualche cosa a tutti i costi, pensando erroneamente che ciò possa aiutarci ad andare più veloci. Il cervello corre molto e le nostre braccia vogliono seguire questi impulsi. In realtà molte volte dobbiamo lasciare libera la nostra canoa di agire e noi dobbiamo solo seguirla senza opporre resistenza. E’ difficile farlo per il semplice motivo che molti atleti vogliono istintivamente tenere sempre sotto controllo la propria imbarcazione e non concederle spazi vitali. La causa può dipendere anche da un assetto troppo stretto che rimanda immediatamente ogni reazione ai nostri gesti.
Un buon strumento per valutare la rotazione nella risalita può essere l’utilizzo di una telecamera fissa sulla riva. In questo modo l’analisi si completa prendendo il tempo in entrata e il tempo in uscita sullo stesso palo e confrontandoli con le immagini e le sensazioni del vissuto per ogni atleta.
Con Zeno stiamo affrontando queste problematiche e mi rendo conto che devono essere assimiliate con molta tranquillità. Confrontandomi poi via skype (che bella cosa internet) con Enrico Lazzarotto mi ha ricordato una cosa molto importante e che mi è piaciuta parecchio. Infatti l’estroso e raffinato pagaiatore mi dice riferendosi al giovanetto: “lascialo sempre con la spregiudicatezza della sua età: porterà grossi risultati in tutto sia in kayak che nella vita”. Che dire? Ha proprio ragione perché altrimenti non si spiegherebbero le evoluzioni che costantemente ci sono!
Per concludere aggiungerei solo il fatto che in una risalita bisogna trovare l’anello in cui infilare la pala per poi tirare... senza danneggiare il filo, non elettrico, ma il filo immaginario che vi porta il prima possibile a tagliare il traguardo.
Occhio all'onda!
Fischia, sono tutto sudato, ma sono uscito ancora vivo dal labirinto in cui mi ero cacciato. Poi morso dalla curiosità sono andato su internet e ho visto che questo tipo di spina si usa oltre che in Australia anche in Argentina, Cina, Nuova Guinea, Nuova Zelanda e Uruguay.
A parte ciò vorrei farvi partecipi di un’osservazione tecnica. In sostanza la fase più critica in una risalita è la rotazione della canoa al suo intero e la successiva fase di uscita.
Partirei dicendo che il livello generale tecnico per l’approccio ad una risalita è cresciuto notevolmente. Cioè molti atleti preparano bene la porta stessa e sono in grado di eseguire al meglio le manovre di avvicinamento e taglio all’interno della porta. Solo in questa terza fase si notano notevoli differenze tra atleti molto evoluti e atleti che stanno crescendo e che viceversa cercano una prestazione importante. In una risalita classica la sequenza può essere questa: preparazione - approccio - entrata - rotazione della coda - spostamento del busto avanti - uscita.
Cambia il modo con cui si utilizza la pala in relazione anche al tipo di risalita e all’acqua relativa. C’è chi preferisce utilizzare il Duffek o chi viceversa usa più facilmente la frenata interna. Indipendentemente dal tipo di manovra utilizzata si rischia di bloccare la coda e la sua conseguente rotazione una vola inserita la stessa nell’acqua. L’errore più frequente è quello di utilizzare il colpo a valle non per lasciar correre la canoa verso il basso, ma per mantenere la punta verso monte. Dal mio punto di vista sono tanti i fattori che concorrono a fare ciò. Il primo assoluto è quello di voler fare qualche cosa a tutti i costi, pensando erroneamente che ciò possa aiutarci ad andare più veloci. Il cervello corre molto e le nostre braccia vogliono seguire questi impulsi. In realtà molte volte dobbiamo lasciare libera la nostra canoa di agire e noi dobbiamo solo seguirla senza opporre resistenza. E’ difficile farlo per il semplice motivo che molti atleti vogliono istintivamente tenere sempre sotto controllo la propria imbarcazione e non concederle spazi vitali. La causa può dipendere anche da un assetto troppo stretto che rimanda immediatamente ogni reazione ai nostri gesti.
Un buon strumento per valutare la rotazione nella risalita può essere l’utilizzo di una telecamera fissa sulla riva. In questo modo l’analisi si completa prendendo il tempo in entrata e il tempo in uscita sullo stesso palo e confrontandoli con le immagini e le sensazioni del vissuto per ogni atleta.
Con Zeno stiamo affrontando queste problematiche e mi rendo conto che devono essere assimiliate con molta tranquillità. Confrontandomi poi via skype (che bella cosa internet) con Enrico Lazzarotto mi ha ricordato una cosa molto importante e che mi è piaciuta parecchio. Infatti l’estroso e raffinato pagaiatore mi dice riferendosi al giovanetto: “lascialo sempre con la spregiudicatezza della sua età: porterà grossi risultati in tutto sia in kayak che nella vita”. Che dire? Ha proprio ragione perché altrimenti non si spiegherebbero le evoluzioni che costantemente ci sono!
Per concludere aggiungerei solo il fatto che in una risalita bisogna trovare l’anello in cui infilare la pala per poi tirare... senza danneggiare il filo, non elettrico, ma il filo immaginario che vi porta il prima possibile a tagliare il traguardo.
Occhio all'onda!
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