Tutta questione di feeling
Ieri le canoe da slalom sono rimaste in giardino sostituite dai kayak di plastica per un pomeriggio passato alla grande sul Kaituna river dove avrei visto volentieri all’opera anche il mio amico L8 tra salti, ritorni d’acqua e gole immerse nella giungla. Il Kaituna river nasce dal lago Rotoiti e finisce dopo poco più di 45 chilometri. La parte che interessa però ai canoisti è lunga poco più di 3 chilometri. Pochi, ma sufficienti per grandi brividi. Commercialmente parlando viene venduto come il salto più alto in assoluto che si possa fare con il gommone – 6/7 metri di adrenalina pura! Così la vedono sulla pubblicità e a giudicare comunque dalle urla che precedono e seguono il salto non ci vanno tanto lontano. Il fiume, largo poco più di una 15 di metri, scende a valle con grandi pozze, precedute da salti via via sempre più grandi per arrivare alle famose “Okere Falls”. In realtà non vi volevo parlare del fiume o delle cascate, visto che se navigate in internet trovate parecchio materiale e vi potete documentare a fondo, vi volevo invece rendere partecipi di uno strano stato d’animo che ho vissuto accompagnando i ragazzi nella discesa. Io sono uno slalomista nato sui fiumi e poi via via mi sono evoluto o se vogliamo adeguato ai percorsi artificiali. Il fiume però è rimasto dentro di me come una sorta di mito, di forza, di energia e gioia. Il concetto arriva dal fatto che trovo appagante pagaiare sulla corrente che corre, fermarmi a surfare su qualche onda, entrare e uscire in velocità dalle morte. Restare per una frazione di secondo su un’onda durante una discesa e capire dove orientare la mia canoa: lo sguardo e la mente che inquadrano la situazione e trovano la soluzione immediata guidati dalle informazioni che arrivano dalla canoa attraverso i recettori del corpo: la vista approva e dà l’ultimo ok, la mente richiama il motore ad operare. Già! tutto ciò l’ho ricercato per molti e molti anni, in quelle meravigliose discese libere come il volo del gabbiano Livingston a provare nuove evoluzioni, nuove emozioni. L’ho ricercato negli allenamenti a volte estenuanti, nelle lunghe ore passate seduto in uno scafo lungo 4 metri e largo 60 cm. Già… ecco il problema: la mia incapacità di rivivere tutto ciò ingabbiato in uno scafo non più lungo della mia pagaia. Ho imparato a pagaiare sulle “Olimpia 400”, ho amato a tal punto la canoa che ho deciso che diventasse la mia professione con la “Sanna” di Prijon, ho messo in canoa i miei figli su una “Reflex 4”, oggi per cercare di restare vivo pagaio su una “Kapsle 360”. Eppure non riesco trovare emozioni e motivazioni a lanciarmi su un salto con una canoa che non sento mia, con un mezzo che non “respira”, con uno strumento che non ha anima. La canoa da slalom in fiberglass va dove la porti tu, la canoa in polietilene va dove vuole portarti lei. La canoa in fiberglass si muove con e per te, con la canoa in polietilene ti muovi tu e per lei. Con la canoa in fiberglass ci passeggi con la canoa in polietilene ti spalli! Ovvio sono solo mie personalissime idee e non voglio assolutamente aprire un dibattito su cosa è meglio e perché… volevo solo farvi partecipi di una sensazione, di un momento, di un pensiero!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Rotorua 5 febbraio 2010 – New Zeland traning camp river Kaituna
P.S. La spedizione nel sud della New Zeland a cui avevo accennato nel pezzo del 2 febbraio si è conclusa nel miglior modo possibile: recuperato l’irlandese infortunato dopo una notte nella giungla, quindi, dopo il ricovero in ospedale, foto sui giornali e interviste … vissero tutti felici e contenti!
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nella foto - Okere Falls
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