Under or without pressure!
Il croato Marinic in azione a Tacen - foto di Nina Jelenc
Matija Marinic ha vinto la gara C1 ICF Ranking di Tacen con un bella prova di finale. Il croato alla prossima vigilia di Natale compierà 31 anni e nel suo curriculum sportivo, ha come migliori prestazioni tre finali in Coppa del Mondo rispettivamente nel 2019 a Tacen che chiuse in 7^ posizione, poi l’anno successivo sempre sul canale sloveno terminò 4^ e nel 2021 a Praga prese il 10^. Ai Giochi Olimpici di Tokyo non è entrato in finale. Le statiche ci dicono che dal 2014 ad oggi ha peggiorato nel suo ranking internazionale passando da un 18esimo posto nel 2014 al 46esimo nel 2018 per attestarsi oggi al 34esimo. Ha una percentuale di manche pulite del 32,5%. Questi sono numeri e l’altro dato di fatto è che questa di Tacen è la sua prima vera vittoria internazionale, nonostante una preparazione invernale decisamente anomala. Infatti il suo allenatore, Stiepan Perestegi, nonché direttore tecnico della Repubblica Croata era un pochino preoccupato perché mi raccontava che il suo atleta aveva passato l’inverno con il martello pneumatico in mano, facendo malta e cemento per costruirsi la casa nuova, le sue preoccupazioni principali erano state fino a Tacen quale pavimento scegliere per la cucina e se ampliare una parte della casa per avere più spazio in futuro se nascerà qualche figlio. La prima acqua mossa del 2022 era quella della settimana di gara di Tacen. Marinic è un atleta di esperienza certamente, ma in Slovenia si era presentato per riprendere gradualmente in un anno, come mi ha fatto notare Stiepan, decisamente da prendere sotto tono per avere poi energia da dedicare al 2023 anno di qualifica olimpica. Strana filosofia, ma forse anche comprensibile da un certo punto di vista e cioè quella di dare respiro ai propri atleti per riprendere con più energia ed intensità. Difficile anche da capire la logica che ha portato al successo il pur bravo croato, ma decisamente meno in forma rispetto al solito, anche solo guardandolo dal punto di vista fisico i notava il ruo ritardo di preparazione. Una spiegazione però c’è ed è quella legata al fatto che comunque senza nulla da perdere molte volte gli atleti si trovano ad essere molto più liberi quando gareggiano e riescono ad esprimere il loro vero potenziale. Il lavoro di muratore ha decisamente mantenuto in forma l’atleta croato, probabilmente dandogli pure stimoli diversi dal punto di vista fisico, ma soprattutto mentale, un approccio decisamente diverso rispetto alle sue abitudini.
Sulla stessa lunghezza d’onda è l’osservazione che mi sono ritrovato a fare con Jerney Abramic, il tecnico di Eva Tercel, per capirci la campionessa del mondo della Seu d’Urgell nel 2019 e che ha avuto un 2021 decisamente sotto tono sia olimpico che iridato, salvandosi solo con le gare di coppa del mondo dove è finita nella classifica finale al terzo posto. Si diceva con Jerney, amico di vecchia data, che la sua stessa atleta assieme a Kauzer e a Savsek, considerando il fatto che sono già qualificati per la squadra nazionale, hanno gareggiare in modo completamente diverso. Non essendo sotto pressione hanno usato le loro performance per mettere appunto varie strategie: provarle, capirle e sperimentarle. Lo stesso Savsek, che in semifinale ha staccato tutti con una discesa non perfetta, alcuni errori sono stati evidenti a tutti, mi ha confessato dopo la gara che ha sbagliato strategia in finale, capendo che non sempre bisogna ascoltare l'istinto che nel suo caso è stato quello di attaccare ancora più intensamente. Infatti, dopo un primo errore alla prima risalita, ha voluto forzare più del dovuto, eppure lui i margini sugli avversari facendo pure errori rimangono alti, e si è trovato spiazzato. Poi c’è stato ancora un primo tocco alla 10 che lo ha portato a spingere ancora di più per finire subito dopo lungo e toccare ancora la porta 13 che gli ha fatto archiviare la finale in malo modo.
Altro punto è quello dei tracciati di gara che dovrebbero mettere tutti i concorrenti sullo stesso piano. Mi spiego meglio: a Tacen in modo specifico la combinazione 13 - 14 è stata determinante per molti considerando gli sbalzi di livello d’acqua nella morta che si doveva attraversare. Probabilmente sarebbe bastato posizionare la 14 più in basso per permettere agli atleti di dare una risposta diversa in relazione all’acqua che avrebbero trovato nel loro passaggio. Era stato fatto molto bene invece tra la tra la 6 e la 7. Trovarsi un muro d’acqua e viceversa andare in discesa verso la porta successiva comportava una differenza cronometra notevole.
Occhio all’onda!
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