Pazienza e curiosità costruiscono un risultato
David Florence con il suo allenatore Mark Delaney in attesa del secondo allenamento della mattina analizza il video |
Eppure anche le grandi sfide per la sopravvivenza del passato necessitavano di preparativi e paziente elaborazione di strategie e tattiche con assedi che duravano anni prima di avere la meglio sull’avversario. La pazienza e il lavoro quotidiano portano spesso e volentieri lontano e sono le uniche due vere carte importanti da giocare nella vita di un atleta condite dalla passione e dalla curiosità di scoprire i propri limiti.
Il confronto con altri tecnici o addetti al settore con l’osservazione in allenamento di atleti mi porta sempre a grandi e profonde riflessioni che hanno come meta finale la scelta migliore da usare e da proporre agli atleti per aiutarli a crescere e ad esprimere tutto il potenziale individuale nascosto. Oggi ad esempio guardano in acqua David Florence, seguito dal suo tecnico Mark Delaney, mi chiedevo quante ore di lavoro ci sono sulle braccia di questo campionissimo che finita la sua avventura in C2 (il suo storico compagno Richard Hounslow si è ritirato il 31 dicembre di quest’anno) ritorna a pensare esclusivamente alla disciplina singola. Florence mi impressiona per le capacità di lavoro che sopporta senza mai abbassare la guardia. Un esempio di professionalità e stile per tutti, ma nello stesso tempo mi chiedevo se effettivamente questa grande mole di lavoro che lo vedo fare da sempre ha tutti quegli effetti positivi sperati che lo stesso britannico, scusate scozzese, è convinto di avere. Certo i risultati parlano a suo favore, non c’è dubbio, ma è questo che fa di Florence il campione che tutti noi conosciamo? Pensate che questo atleta, arrivato a Penrith, lo scorso mercoledì, fa 4 ore di allenamento in acqua, 2 alla mattina e 2 al pomeriggio a seguire e che per chi mastica di allenamento capisce bene che è una cosa massacrante. Nella prima ora pagaia dal suo lato e cioè a destra, mentre nell’ora successiva a sinistra con tutte le problematiche che la cosa gli sta creando. Il tutto però mi ha incuriosito non poco e ovviamente sono andato a parlare con Mark, un mio collega e grande amico. Bene il tutto parte dall’analisi delle risalite fatte in debordè che sembrano esser decisamente più veloci rispetto l’aggancio dal proprio lato (si veda Garguad in debordè alla 7 a Rio contro Benus, il francese è stato decisamente più veloce - ne avevo parlato in Storie Olimpiche "I nuovi re della canadese") e così è partito questo progetto per cercare di migliorarsi ancora di più andando oltre i propri confini e che seguiremo pagaiata dopo pagaiata per capirne di più.
Mi chiedo sempre poi se allenare o allenarsi quando il corpo è stanco o non è nelle migliori condizioni psico-fisiche per recepire gli stimoli che arrivano dall’allenamento sia positivo. Lo slalom indubbiamente è uno sport di situazione dove l’azione dovrebbe essere esclusivamente la diretta conseguenza di uno stimolo che arriva dallo stesso elemento su cui l’atleta si muove e cioè l’acqua, quindi se non si è a determinate velocità o in perfetta forma psico-fisica vedo l’allenamento una pericolosa arma a doppio taglio che potrebbe modificare la tecnica vincente. In poche parole ciò che deve illuminare ed elevare l’allenamento per una massima resa è la sua altissima specificità condita da una tecnica fatta a ritmi gara proprio per trovarla allenata al momento che serve e cioè in gara. Tutto il resto, come la vedo io, è piacevole condimento alla pietanza principale e che riempie la pancia e tranquillizza l’anima, ma nutre poco il corpo!
Occhio all’onda!
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