Mato Grosso
Noi attoniti nel bus ci abbassiamo all’interno per evitare l’impatto con l’aereoplanino in caduta libera... come se ciò potesse servire! Ci taglia la strada che divide in due le piantagioni. Possiamo vedere in faccia il pilota che indossa un capello che lo fa assomigliare all’eroe della prima guerra mondiale Manfred Von Richthofen, soprannominato Il Barone Rosso! La velocità del velivolo è ben superiore alla nostra e per fortuna l’impatto non c’è. L’occhio segue il volo di quell’uccello meccanico in quel mare dalle mille tonalità di verde e velocemente com’è arrivato si allontana diventando minuscolo e, scomparendo alla vista, lascia una scia di commenti e sorrisi. Il bus, viceversa, prosegue su quella strada così retta che sembra essere stata gettata lì per disprezzare le curve. E’ formata da blocchi di cemento uniti uno all’altro longitudinalmente e passano a stento contemporaneamente due veicoli che marciano in senso opposto. Noi stiamo viaggiando da oltre 24 ore, tempo necessario per partire da Foz do Iguaçu e per arrivare Primavera do Leste. Quindi dallo stato del Paranà allo stato del Mato Grosso del nord. A dividere i due mega stati brasiliani il fiume Paranà; per attraversarlo impieghiamo molto tempo per la qualità del ponte e per il traffico sempre consistente. Un fiume che scorre in tre stati, Brasile, Argentina e Paraguay e che supera i 2.700 km. di lunghezza. Se solo ci penso per un istante mi rendo conto di essere un nulla in mezzo a tanta acqua e a tanta vita che la stessa acqua genera. I pensieri e le emozioni che mi assalgono in questo lungo viaggio sono delle più svariate. Mi accorgo che spesso e volentieri durante il giorno sono con gli occhi sbarrati a guardare incredulo tutto ciò che appare d’incanto al di fuori di questo veicolo che ci trasporta su al nord. Arrivato a Primavera do Leste dopo quasi 2.000 km di viaggio mi rendo conto che non mi sono ancora abituato a quella distesa infinita di verde che ci sta accogliendo, che ci sta avvolgendo, che ci sta emozionando. Non avevo mai visto le piantagioni di cotone alle quali ovviamente la mia mente collega il mio primo romanzo letto e scovato tra i libri gelosamente custoditi da mio papà che ne era un avido consumatore: “La capanna dello zio Tom”. La storia è ambientata negli Stati Uniti; geograficamente parlando siamo altrove, ma la mente, se la lasci libera, gioca spesso e volentieri con il vissuto e non ha confini, non ha di queste preoccupazioni: vaga e sprigiona ricordi, riportando alla luce anche affetti che si custodiscono tanto gelosamente come i libri del mio papà.
Il libro, ricordo, aveva una copertina ingiallita dal tempo, con fogli così lisci che prima di consegnarmelo mio papà ci fisso una protezione di plastica trasparente che non era altro che una delle tante cartelle porta documenti che avevamo a casa per le mille carte che sempre e comunque da sempre invadono qualsiasi casa.
Il Mato Grosso ha vissuto prima attraverso tante popolazioni indigene, poi sotto i portoghesi che hanno seminato terrore e violenza per accaparrarsi oro e ricchezze. Un Mato Grosso passato velocemente dall’eccitazione dei ricercatori d’oro all’abbandono e all’isolamento forzato da una natura che si impadronisce di quello che un tempo possedeva. Oggi è fonte di denaro, qui si coltiva di tutto e di più. Ci sono grandi allevamenti di bovini che vagano liberi in prati verdi sempre con giganteschi struzzi che hanno il compito di tenere sotto controllo i cobra oltre al fatto di dare una connotazione particolare alla nostra vista. Ci sono “Faziende” con oltre 1.000 funzionari impegnati in uffici sempre più moderni; quello che manca invece è la manodopera da impegnare sui campi. Coltivazioni che sono sempre più caratterizzate dalla tecnologia.
fine prima parte ...
seconda parte...
Così, oltre all’impiego di aerei, irrigazione automatizzata, e trattori giganteschi che sembrano i dinosauri che certamente un tempo hanno abitato qui, oggi questo stato è diventato il granaio non solo del Brasile, ma di tutte le Americhe e chissà cosa ci riserverà il futuro. Primavera do Leste ha festeggiato i 26 anni di vita proprio nei giorni delle gare della Coppa do Brasil di canoa slalom e oggi, in così poco tempo, conta oltre 60.000 abitanti. Una metà dedita all’agricoltura e l’altra metà costruisce case per chi lavora nei campi e per chi presto arriverà chiamato da una frenetica necessità di manodopera, sia qualificata che specializzata in precisi rami.
Per arrivare al campo di slalom dobbiamo lasciare il mega bus, con tanto di poltrone che si trasformano in letti, sulla strada in una sorta di oasi creata tra quest’immensità di campi coltivati. Un’area che si affaccia sul rio della "Muerte", un nome che la dice lunga, e che è dotata di tutti i comfort immaginabili per passare le giornate all’aria aperta con gli amici. Da qui ci si sposta con un camion 4x4 che ci attende con tutte le nostre canoe, noi prendiamo posto ovunque ci sia uno spiraglio per trovare un supporto con le nostre mani e, lasciati i lastroni di cemento della strada principale, ci infiliamo in mezzo ai campi e si inizia a saltare. In un attimo torno a vivere le avventure vissute più di vent’anni fa in Costa Rica quando dopo le discese sul Reventazon tornavamo a Turrialba con il camion attraversando la giungla. Non pensavo di avere ancora una volta la fortuna di rivivere quelle emozioni e cioè riassaporare lo spirito avventuriero di una canoa slalom che allora stava cercando una sua identità. Mi ero dimenticato di strade sterrate, di canoe in vetroresina, di salvagenti e caschetti consunti, di fili per le porte abbarbicati su palme e liane. Agganciare una porta sul filo portante è un gesto automatico e ormai lo posso fare tranquillamente senza guardare, ma era da molto tempo che, prima di mettere in atto questa operazione, non mi guardavo ben attorno per controllare che non ci fossero serpenti o strani animali appollaiati su quel filo sospeso sul fiume. Come era da tempo che non mi presentavo per montare il campo di slalom con macete e guanti anti cobra!
Mi ero perso lo spirito libero che ha accompagnato la mia gioventù o forse si è solo assopito in qualche meandro della mia anima pronto a riemergere al momento opportuno per ricordarmi sempre da dove siamo partiti. Mi sento fortunato ad aver vissuto l’epoca pionieristica dello slalom, oggi che è così tutto perfetto, oggi che si arriva sui campi di gara comodamente e l’acqua è regolata con meccanismi altamente tecnologici, mentre noi ci affidavamo alla danza della pioggia in caso di poca acqua e in caso di troppa godevamo lunghe discese su fiumi incantevoli, dimenticandoci dei pali dello slalom. Oggi più generazioni non sanno pagaiare su un fiume e si perdono se la loro discesa non è segnata dai numeri delle porte. Ecco qui ho rivissuto momenti magici della mia gioventù, peccato che non ci fossero i miei vecchi compagni di avventura per riassaporare assieme il tempo andato. Ma si sa la vita cambia per tutti... quasi per tutti!
Ho rivisto ragazzini con gli occhi da tigre, ho rivisto ragazzini camminare scalzi e restare per ore vestiti da canoa, ho rivisto ragazzini felici di ricevere una medaglia alla fine delle giornate di gare. Ho visto nel loro futuro grandi cambiamenti e crescita. Ho visto nell’immediato la spensieratezza di anni passati a rincorrere un sogno.
I tramonti, in questi luoghi, arrivano presto. Anche i colori che ci hanno accompagnato durante le lunghe giornate vanno a riposare. Si risale in pullman e ci attendono le 24 ore di viaggio intervallate da solo tre soste, ma saprò come farle passare velocemente... l’unica possibilità di non dimenticare tutto ciò è di condividerla.
Occhio all’onda!
Per arrivare al campo di slalom dobbiamo lasciare il mega bus, con tanto di poltrone che si trasformano in letti, sulla strada in una sorta di oasi creata tra quest’immensità di campi coltivati. Un’area che si affaccia sul rio della "Muerte", un nome che la dice lunga, e che è dotata di tutti i comfort immaginabili per passare le giornate all’aria aperta con gli amici. Da qui ci si sposta con un camion 4x4 che ci attende con tutte le nostre canoe, noi prendiamo posto ovunque ci sia uno spiraglio per trovare un supporto con le nostre mani e, lasciati i lastroni di cemento della strada principale, ci infiliamo in mezzo ai campi e si inizia a saltare. In un attimo torno a vivere le avventure vissute più di vent’anni fa in Costa Rica quando dopo le discese sul Reventazon tornavamo a Turrialba con il camion attraversando la giungla. Non pensavo di avere ancora una volta la fortuna di rivivere quelle emozioni e cioè riassaporare lo spirito avventuriero di una canoa slalom che allora stava cercando una sua identità. Mi ero dimenticato di strade sterrate, di canoe in vetroresina, di salvagenti e caschetti consunti, di fili per le porte abbarbicati su palme e liane. Agganciare una porta sul filo portante è un gesto automatico e ormai lo posso fare tranquillamente senza guardare, ma era da molto tempo che, prima di mettere in atto questa operazione, non mi guardavo ben attorno per controllare che non ci fossero serpenti o strani animali appollaiati su quel filo sospeso sul fiume. Come era da tempo che non mi presentavo per montare il campo di slalom con macete e guanti anti cobra!
Mi ero perso lo spirito libero che ha accompagnato la mia gioventù o forse si è solo assopito in qualche meandro della mia anima pronto a riemergere al momento opportuno per ricordarmi sempre da dove siamo partiti. Mi sento fortunato ad aver vissuto l’epoca pionieristica dello slalom, oggi che è così tutto perfetto, oggi che si arriva sui campi di gara comodamente e l’acqua è regolata con meccanismi altamente tecnologici, mentre noi ci affidavamo alla danza della pioggia in caso di poca acqua e in caso di troppa godevamo lunghe discese su fiumi incantevoli, dimenticandoci dei pali dello slalom. Oggi più generazioni non sanno pagaiare su un fiume e si perdono se la loro discesa non è segnata dai numeri delle porte. Ecco qui ho rivissuto momenti magici della mia gioventù, peccato che non ci fossero i miei vecchi compagni di avventura per riassaporare assieme il tempo andato. Ma si sa la vita cambia per tutti... quasi per tutti!
Ho rivisto ragazzini con gli occhi da tigre, ho rivisto ragazzini camminare scalzi e restare per ore vestiti da canoa, ho rivisto ragazzini felici di ricevere una medaglia alla fine delle giornate di gare. Ho visto nel loro futuro grandi cambiamenti e crescita. Ho visto nell’immediato la spensieratezza di anni passati a rincorrere un sogno.
I tramonti, in questi luoghi, arrivano presto. Anche i colori che ci hanno accompagnato durante le lunghe giornate vanno a riposare. Si risale in pullman e ci attendono le 24 ore di viaggio intervallate da solo tre soste, ma saprò come farle passare velocemente... l’unica possibilità di non dimenticare tutto ciò è di condividerla.
Occhio all’onda!
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