Un mondiale in archivio... tempo di riflessioni
Calato il sipario sui Campionati del Mondo di Slalom a Pau mi ritrovo solo ora a metabolizzare un mondiale e una stagione ricca di aspettative e di curiosità in modo distaccato e obiettivo. C’è stato pure il tempo di partecipare alla Consulta Tecnica Nazionale, convocata a Roma dalla Federazione, momento importante di confronto e di dialogo tra molte diverse realtà del panorama canoistico italiano. Il confronto si dimostra sempre molto interessante, stimolante e produttivo per andare avanti e per cercare di dare il meglio ai nostri atleti che come noi sognano di esprimere tutto il loro potenziale.
Erano tante le aspettative per il mondiale organizzato dai cugini francesi, ma forse proprio per questo motivo siamo rimasti delusi perché forse tanti piccoli particolari non sono stati curati come ci si poteva immaginare. Come sempre, nella maggior parte dei casi, chi organizza pensa prima di tutto a fare bella figura con autorità e sponsor e gli atleti e lo spettacolo tecnico vengono messi in secondo piano.
E’ stato presuntuoso, sia da parte del presidente del Boarding ICF Slalom e sia di chi ha accettato, affidare a due « novellini » il compito di tracciare il percorso iridato. Non è ammissibile infatti entrare in finale con distacchi abissali. La stessa gara stratosferica di semifinale di Peter Kauzer o la finale di Jessica Fox confermano l’irregolarità di un tracciato che poteva, su una sola combinazione, decidere il risultato finale. Il concetto di una combinazione impegnativa e determinate ci sta sicuramente, ma non come è stata proposta dai tracciatori. Mi riferisco ovviamente al passaggio sotto il secondo ponticello (13-14-15) che prevedeva una discesa tutta a destra, quindi saltare nel ricciolo successivo per andare ad approdare nella morta a sinistra, quindi retro e successiva discesa a pochi metri dalla precedente. Ora il problema è che il ricciolo non offriva la possibilità di avere o fare sponda per lanciarsi nella morta, quindi l’azione si spezzava per riuscire a fare le due porte in discesa al volo. Immaginatevi in una gara di slalom sugli sci che gli atleti debbano prendere velocità su un passaggio, frenare brutalmente e cercare di risalire metri verso monte per infilarsi nella porta successiva.
Quello che non concepisco sono queste interruzioni, che già relativamente si hanno con le risalite se piazzate in malo modo sul tracciato. Il concetto base deve essere quello che la barca possa scorrere sempre, non deve perdere velocità, perché altrimenti si perde il senso della corsa. Già abbiamo inventato il « boarder cross » per fare spettacolo, cerchiamo però di mantenere lo slalom su un piano tecnico più elevato.
Testimonianza dell’assurdità del tracciato è Peter Kauzer che vince la semifinale con un distacco di 3.99 sull’idolo di casa Neveu e Jessica Fox vince il suo secondo titolo iridato assoluto in K1 con 4,62, riportandoci alla notte dei tempi quando il suo papà rifilava distacchi abissali agli avversari, ma su percorsi che superavano abbondantemente i tre minuti di gara (1ˆR.Fox 210,56 - 2ˆP.Micheler 220.60 - Augsburg 1985).
Oggi non possiamo permetterci di metter in campo gare che si risolvono con questi risultati, specialmente per gli accessi nelle finali, poi è ovvio che nell’atto finale tutto ci sta!
… fine prima parte
Erano tante le aspettative per il mondiale organizzato dai cugini francesi, ma forse proprio per questo motivo siamo rimasti delusi perché forse tanti piccoli particolari non sono stati curati come ci si poteva immaginare. Come sempre, nella maggior parte dei casi, chi organizza pensa prima di tutto a fare bella figura con autorità e sponsor e gli atleti e lo spettacolo tecnico vengono messi in secondo piano.
E’ stato presuntuoso, sia da parte del presidente del Boarding ICF Slalom e sia di chi ha accettato, affidare a due « novellini » il compito di tracciare il percorso iridato. Non è ammissibile infatti entrare in finale con distacchi abissali. La stessa gara stratosferica di semifinale di Peter Kauzer o la finale di Jessica Fox confermano l’irregolarità di un tracciato che poteva, su una sola combinazione, decidere il risultato finale. Il concetto di una combinazione impegnativa e determinate ci sta sicuramente, ma non come è stata proposta dai tracciatori. Mi riferisco ovviamente al passaggio sotto il secondo ponticello (13-14-15) che prevedeva una discesa tutta a destra, quindi saltare nel ricciolo successivo per andare ad approdare nella morta a sinistra, quindi retro e successiva discesa a pochi metri dalla precedente. Ora il problema è che il ricciolo non offriva la possibilità di avere o fare sponda per lanciarsi nella morta, quindi l’azione si spezzava per riuscire a fare le due porte in discesa al volo. Immaginatevi in una gara di slalom sugli sci che gli atleti debbano prendere velocità su un passaggio, frenare brutalmente e cercare di risalire metri verso monte per infilarsi nella porta successiva.
Quello che non concepisco sono queste interruzioni, che già relativamente si hanno con le risalite se piazzate in malo modo sul tracciato. Il concetto base deve essere quello che la barca possa scorrere sempre, non deve perdere velocità, perché altrimenti si perde il senso della corsa. Già abbiamo inventato il « boarder cross » per fare spettacolo, cerchiamo però di mantenere lo slalom su un piano tecnico più elevato.
Testimonianza dell’assurdità del tracciato è Peter Kauzer che vince la semifinale con un distacco di 3.99 sull’idolo di casa Neveu e Jessica Fox vince il suo secondo titolo iridato assoluto in K1 con 4,62, riportandoci alla notte dei tempi quando il suo papà rifilava distacchi abissali agli avversari, ma su percorsi che superavano abbondantemente i tre minuti di gara (1ˆR.Fox 210,56 - 2ˆP.Micheler 220.60 - Augsburg 1985).
Oggi non possiamo permetterci di metter in campo gare che si risolvono con questi risultati, specialmente per gli accessi nelle finali, poi è ovvio che nell’atto finale tutto ci sta!
… fine prima parte
Io con Charles Correa da questo piccolo ma grande pagaiatore dobbiamo imparare a sorridere più spesso e gioire della vita come molto spesso i brasiliani sanno fare. |
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