Nuestra Señora de Aparecida patrona del Brasile e speriamo di noi slalomisti!
Ho ripreso in mano la bicicletta, anzi, meglio dire che sono rimontato in sella dopo circa un mese per andare e tornare dal campo di allenamento. Qui la vita a Foz si sta regolarizzando, entriamo nella fase due, come si direbbe in una operazioni di guerra, e cioè tutto si sta regolarizzando dopo lo scossone iniziale di qualche settimana fa. La quotidianità entra in noi anche se io sto cercando di fare del mio meglio perché tutto ciò non avvenga mai, ritenendola la causa di tanti mali e depressioni. Ogni giorno per noi deve essere speciale. Ogni giorno deve avere la grinta e la gioia del primo e la consapevolezza dell’ultimo. Con i ragazzi si sta creando un bel gruppo anche se ormai io non ho più spazi miei dalle 6,30 della mattina, ora della colazione per il primo gruppo che va in acqua alle 7,30, alle 22 ora in cui suona la ritirata per sette giorni alla settimana. Tra un allenamento e l’altro c’è l’organizzazione del lavoro, le riunioni con gli allenatori, le richieste, anche le più banali, dei ragazzi. Poi devo programmare le trasferte in Europa per la coppa del mondo che mi costa parecchio tempo. Ecco perché mi muovo in bici così prima degli allenamenti ho poco più di 30 minuti per lasciare la mia mente libera di vagare e riflettere su tante problematiche tecniche che devo affrontare. Sono quotidianamente due ore di sella per una cinquanta di chilometri. Non sempre però vado pedalando, ma quando posso lo faccio molto volentieri. La strada è bella non mi impegna più di tanto. Per molta parte percorro la ciclabile che scorre a lato della via principale e solo per pochi tratti mi metto in mezzo alle macchine e alle moto. Questo succede soprattutto al ritorno quando faccio la strada che imbocca il viadotto che arriva dal Paraguay. Qui mi assalgono valanghe di moto-taxi che scarrozzano di qua e di là per portare singole persone ad acquistare ogni ben di dio dall’altra parte del fiume Paranà. In questi 30 minuti le idee fluiscono alla grande, deve essere l’effetto del sangue che circola più velocemente. Il tempo necessario per riflettere e per mettermi in discussione e ogni giorno visto che mi chiedo costantemente che cosa posso fare per aiutare questi atleti a crescere. All’interno del gruppo abbiamo praticamente tre livelli. Un primo, formato principalmente di K1, su cui si può lavorare decisamente bene. Sono sei e stanno crescendo parecchio con carichi di lavoro sia fisici che tecnici. Poi c’è il gruppo delle canadesi, più grezzo e da raffinare, ma si sa che le sfide hanno sempre un certo fascino. Poi c’è il gruppo dei giovanissimi e cioè il progetto che viene portato avanti nelle scuole e che parte da zero ogni anno scolastico, mettendo linfa vitale nello slalom. Oggi sono diventato una bestia perché ci eravamo prefissati due obietti chiari e purtroppo non sono stati raggiunti. Diciamo che hanno passato più tempo sulle rive a correre che in canoa. La corsa la utilizzo quando non mettono in pratica quanto si doveva fare. Non tanto per mancanza di possibilità tecnica o fisica, ma per mancanza di concentrazione... e se manca quella ragazzi miei è veramente dura! Dopo aver concesso due possibilità per capire e mettere in pratica alla terza mancanza li faccio uscire e iniziano a raffreddare gli animi correndo. Iniziano ad associare alla corsa un qualche cosa che non ha funzionato, visto che per loro sbagliare non crea problemi e si chiedono spesso e volentieri perché un furioso italiano grida e salta sulla riva strappandosi i capelli! Escono e mi guardano incuriositi come noi guardiamo le scimmie allo zoo, che problema posso mai avere? Noi però non molliamo e andiamo avanti, loro sono molto bravi, ma mancano di esperienza: per quella ci sono io qui e fra non molto arriverà anche Guille Diez Canedo a darmi una mano. Il problema per loro è quello che non hanno metodo si affidano esclusivamente all’istinto. Non esiste un sistema da seguire un modello da copiare tutto è vergine tutto sembra essere nuovo. Bello da un certo punto di vista, complesso da affrontare. Beh se non fosse stato così certo non mi avrebbero chiamato e le sfide mi danno sempre più energia. Speriamo solo che Nuestra Señora de Aparecida, alla quale è stato dedicato alla partenza un piccola nicchia con la sua immagine, ci assista e sia lei questa volta a tirarci fuori dalle acque come fecero i tre pescatori Domingos Garcia, Filipe Pedroso e João Alves nel 1717, quando la raccolsero nelle loro reti.
Occhio all’onda!
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