Chiamarla Coppa... ma perchè?


La Coppa del Mondo Slalom 2020 mi ricorda una delle  famose terzine dantesche che si trova nel cantico III dell'inferno dove vengono collocati gli ignavi: "Sanza ‘infamia e sanza lodo". Dante parla così  di chi non ha saputo prendere una decisione,  vivendo una vita in attesa, quindi la loro condanna sarà quella di correre interrottamente per l'eternità per riscattarsi degli errori fatti in vita.   Ecco! l'edizione di quest'anno di Coppa, secondo me, non è stata capace di proporre una sua filosofia e tanto mento logica agonistica, mettendo in essere  solo una scarsa e brutta copia di quella che da sempre è la World Cup!
C’è da dare atto però che un senso può averlo avuto per atleti e paesi che con uno sforzo enorme vi hanno partecipato, ma che in condizioni normali non avrebbero avuto accesso alle finali, quindi un'opportunità che alcuni non si sono persi.  
Le gare però ci hanno offerto comunque spunti di riflessione  interessanti. Il primo ci arriva dagli atleti più quotati, per la verità non sono stati molti quelli che vi hanno partecipato, ma che non sono riusciti ad esprimersi com’è loro consuetudine. E da questo si capisce quanto è importante la motivazione per rendere al massimo in gara. Mancando obiettivi e probabilmente anche programmazione specifica  si è capito quanto può influenzare sull’esito finale.  Sono mancati in toto i francesi, padroni di casa, che nella canadese monoposto non sono riusciti a piazzare nessun finalista. Penso che ciò non succedesse probabilmente dalla prima edizione della Coppa del Mondo e cioè dal 1988! Quasi lo stesso si può dire per i loro colleghi del kayak maschile se pur arrivati all’atto conclusivo,  con Anatole Delassus e Benjamin Renia, hanno fallito completamente in finale. Delassus ha toccato troppo, mentre l’esperto Renia ha saltato la porta 12 finendo nelle retrovie. Anche senza penalità i due atleti di casa sarebbero rimasti lontano dal podio che viceversa è andato a Martin Dougoud, primo, Tomas Zima, secondo con l’argentino Thomas Bersinger sul terzo gradino del podio. In realtà quest'ultimo è più francese dello stesso  Napoleone Bonaparte visto che il famoso condottiero era nato in Corsica da una famiglia italiana della piccola nobiltà e non certo in Francia come  Thomas Bersinger che vide la luce proprio a Pau il 4 dicembre 1985! 
I due più quotati atleti del kayak in finale e cioè i cechi Vit Prindis e Vavrinec Hradilek non sono stati all’altezza del loro nome, ma era evidente il loro stato di forma decisamente sotto tono. Da tecnico però non ne capisco il motivo per cui questi due fenomeni abbiano  partecipato ad una gara senza essere pronti e reattivi come loro abitudine.

Meglio hanno fatto i transalpini nel settore femminile piazzando Marie Lafont e Romane Prigent rispettivamente al primo e al secondo posto nella finale del kayak. C’è da dire che queste due atlete solo poche settimane prima si erano giocate la qualificazione olimpica dove l’aveva spuntata la prima.  Due atlete che praticamente sono nate e cresciute canositicamente su questo canale. Le separano 12 anni di vita: Lafonte di primavere ne ha viste 33 e si appresterà ad esser al via alla sua seconda Olimpiade dopo quella carioca del 2016, mentre la Prigent di primavere ne ha vissute 21. Ed è proprio quest’ultima la vera rivelazione di questa stagione così anomala. Figlia d’arte di Christophe Prigent e Marie Agulhon. Il papà, classe 1956, ha vinto due medaglie a squadre ai campionati del mondo nel 1985 e nel 1987 rispettivamente argento e bronzo. Chiusa la carriera da atleta iniziò quella da allenatore per diventare una decina d’anni più tardi il Direttore Tecnico delle Squadre Nazionali. Ruolo che abbandonò nel 2006  per diventare il responsabile del neo nato centro federale francese a Pau che prenderà il via nell’aprile del 2008. Christophe però è stato richiamato recentemente a dirigere la squadra olimpica francese dopo l’anno di conduzione di Richard Fox. Christophe è diventato una sorta di icona della canoa slalom con  una sua foto che divenne il logo della canoa slalom per le Olimpiadi spagnole. Questo,  ovviamente, gli portò notorietà e gloria perché non c’è nessun centro di canoa di una certa importanza che non abbia un poster con lui che sembra pagaiare sul mondo.
Anche la mamma, dieci anni più giovane del marito, certo non fu da meno con la pagaia in mano, vincendo il titolo iridato a squadre al mondiale del 1991 a Tacen con Myrian Jerusalmi Fox e  Anouk Loubie e sfiorò la medaglia alle Olimpiadi del ’92 finendo al 5^ posto, ma prima delle francesi con Anne Boixel (attuale responsabile tecnico del settore Junior nazionale) in 11esima posizione e Jerusalmi Fox (inutile dire cosa lei ha fatto da allenatrice considerando che tutti la conoscono) al 21esimo posto. Ma i Prigent sono una vera e propria famiglia, nonché dinastia di canoisti tanto è che Romane è cugina di Camila Prigent. Anche Camila è figlia d’arte, ma tranquilli vi risparmio la storia dei suoi genitori, ed è stata apripista ai Giochi Olimpici di Rio 2016. Minuta, ma potente nello stesso tempo interpreta uno stile più azzardato per questa categoria e se fino a ieri ha ottenuto buoni risultati è però precipitata alle selezioni olimpiche francesi finendo addirittura fuori squadra. Probabilmente la tensione e soprattutto il fatto di sapere che poteva farcela l’ha frenata non poco nelle gare.
Per dovere di cronaca bisogna dire che la gara nella canadese monoposto è stata vinta dall’irlandese, Liam Jegou, per la verità più gallico che gaelico, che precedentemente non aveva neppure mai preso una finale né in coppa né ai mondiali. Era arrivato in finale con il sesto posto in semifinale e con un tempo di 104.59 più 2 penalità. Poi è stato bravo a migliorarsi di 4 secondi e vincere così la gara sul ceco Vaclav Chaloupka e lo svizzero Thomas Koechlin.
Nel settore femminile della canadese ancora una bella vittoria di Ana Satila che come a Tacen, 15 giorni prima, vince con distacchi abissali. Qui con oltre 6 secondi su Viktoriia Us e in terza posizione la campionessa europea 2020 Tereza Kneblova. Deludono le tre spagnole Lazkano, Vilarrubla e Olazabal che si prendono un 50 rispettivamente alla 12, alla 22 e alla 8 e che fanno registrare praticamene lo stesso tempo e  si distanziano solo di qualche centesimo.

Personalmente disapprovo l’atteggiamento degli sloveni, che prima organizzano la prima prova in casa e poi non si presentano oltre le Alpi snobbando la seconda e conclusiva gara di Coppa.
Silenzio anche dall’ICF sull’esito di queste gare. La Coppa a quanto pare non è stata assegnata e allora perché hanno voluto organizzare delle gare sotto questo nome e poi non assegnare il titolo?

Occhio all’onda! 

 



 

 

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