Una vita alla ricerca del successo
La manche di finale olimpica di Maialen Chourraut è il riflesso di una intera esistenza spesa per raggiungere l’obiettivo massimo sportivo e cioè vincere l’oro di Olimpia ed entrare di diritto nella storia, mentre la sua condotta di gara rispecchia alla perfezione la sua vita di donna, atleta e madre: sunto di serietà, dedizione e volontà assoluta con un briciolo di suspence che la vita ci regala sempre!
Le sono servite 111 pagaiate per fermare i cronometri sul tempo vincente di: 98 secondi e 65 decimi risultato di una discesa priva di azzardi, ma nel lo stesso tempo sintesi di una perfezione maniacale di una atleta che dalla semifinale alla finale si migliora di 3 secondi e 18.
Eppure l’esito potrebbe essere stato decisamente diverso per l’unica vera incertezza di tutta la sua performance olimpica e cioè quella piccola défaillance tra la otto e la nove in discesa. Infatti la basca, 33 enne alla sua terza olimpiade, esce troppo stretta dalla risalita 7 e si trova leggermente in ritardo per la porta 8 e per non toccare il palo di destra toglie la pala dall’acqua e si porta indietro con il corpo senza però lasciare la pala in acqua perché altrimenti ci sarebbe finita addosso con la conseguente penalità. Qui sarebbe potuto succedere il « patatrac » (si veda David Florence nella finale in C1), la canoa si impenna perché il suo fianco sinistro nella parte posteriore è risucchiato dal ricciolo e lei in quel mentre rimane in balia dell’acqua che la sovrasta. Una gara di slalom è la perfetta parafrasi della vita dove ci vuole impegno, dedizione, studio, ma anche fortuna per arrivare alla fine da vincitori.
E’ brava a mantenere calma e sangue freddo fino a quando l’acqua naturalmente la spinge fuori e si presenta così davanti alla 9 ancora con la punta alta. A questo punto rimette in frenata il suo sinistro e abbassa rapidamente lo scafo per riprendere il cammino verso valle. Pericolo passato, equilibri ristabiliti e soprattutto la sua canoa scivola via come poche altre donne sanno far fare al loro strumento di lavoro.
Dietro a questo successo c’è un lavoro certosino di un’atleta che non ha grilli per la testa e che vive da sempre in una routine quotidiana quasi monacale a La Seu d’Urgell: casa, in bici o camminando all’allenamento sul canale o in palestra, si torna a casa per preparare il pranzo, sistemare casa, riposo, si torna al centro per allenarsi, poi a casa, magari passando a prendere le cose che servono per cena e poi si passa la serata in relax per preparare l’allenamento del giorno dopo. Da quando è mamma la vita diventa ancora più scandita dalle necessità della piccola Ane che ha una mamma che da quando è nata non l’ha mai lasciata sola un giorno intero. Anche in fase di preparazione a Rio nei mesi che hanno preceduto l’evento ha optato per un allenamento di due ore unite sul canale invece di due allenamenti separati di una sola ora perché così facendo avrebbe dovuto perdere troppo tempo e lasciare Ane con la babysitter tutto il giorno e questo alla solerte mamma Maialen non andava troppo bene! Insomma campionesse olimpiche non si diventa certamente a caso e la storia ce lo sta confermando con assoluta fermezza. Prima di lei Fer, Kaliska, Hilgertova, Michler e la stessa Bahmann erano e rimangono esempi di atlete e donne modello.
Occhio all’onda!
Le sono servite 111 pagaiate per fermare i cronometri sul tempo vincente di: 98 secondi e 65 decimi risultato di una discesa priva di azzardi, ma nel lo stesso tempo sintesi di una perfezione maniacale di una atleta che dalla semifinale alla finale si migliora di 3 secondi e 18.
Eppure l’esito potrebbe essere stato decisamente diverso per l’unica vera incertezza di tutta la sua performance olimpica e cioè quella piccola défaillance tra la otto e la nove in discesa. Infatti la basca, 33 enne alla sua terza olimpiade, esce troppo stretta dalla risalita 7 e si trova leggermente in ritardo per la porta 8 e per non toccare il palo di destra toglie la pala dall’acqua e si porta indietro con il corpo senza però lasciare la pala in acqua perché altrimenti ci sarebbe finita addosso con la conseguente penalità. Qui sarebbe potuto succedere il « patatrac » (si veda David Florence nella finale in C1), la canoa si impenna perché il suo fianco sinistro nella parte posteriore è risucchiato dal ricciolo e lei in quel mentre rimane in balia dell’acqua che la sovrasta. Una gara di slalom è la perfetta parafrasi della vita dove ci vuole impegno, dedizione, studio, ma anche fortuna per arrivare alla fine da vincitori.
E’ brava a mantenere calma e sangue freddo fino a quando l’acqua naturalmente la spinge fuori e si presenta così davanti alla 9 ancora con la punta alta. A questo punto rimette in frenata il suo sinistro e abbassa rapidamente lo scafo per riprendere il cammino verso valle. Pericolo passato, equilibri ristabiliti e soprattutto la sua canoa scivola via come poche altre donne sanno far fare al loro strumento di lavoro.
Dietro a questo successo c’è un lavoro certosino di un’atleta che non ha grilli per la testa e che vive da sempre in una routine quotidiana quasi monacale a La Seu d’Urgell: casa, in bici o camminando all’allenamento sul canale o in palestra, si torna a casa per preparare il pranzo, sistemare casa, riposo, si torna al centro per allenarsi, poi a casa, magari passando a prendere le cose che servono per cena e poi si passa la serata in relax per preparare l’allenamento del giorno dopo. Da quando è mamma la vita diventa ancora più scandita dalle necessità della piccola Ane che ha una mamma che da quando è nata non l’ha mai lasciata sola un giorno intero. Anche in fase di preparazione a Rio nei mesi che hanno preceduto l’evento ha optato per un allenamento di due ore unite sul canale invece di due allenamenti separati di una sola ora perché così facendo avrebbe dovuto perdere troppo tempo e lasciare Ane con la babysitter tutto il giorno e questo alla solerte mamma Maialen non andava troppo bene! Insomma campionesse olimpiche non si diventa certamente a caso e la storia ce lo sta confermando con assoluta fermezza. Prima di lei Fer, Kaliska, Hilgertova, Michler e la stessa Bahmann erano e rimangono esempi di atlete e donne modello.
Occhio all’onda!
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