Dos por Cuatro!
Mi sono fatto un’idea del Tango passando un po’ di tempo con gli argentini e soprattutto “paseando” per la loro terra. Arrivi a Bueno Aires e tutto ti parla di questa danza che è stata riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Non fai in tempo a scendere dall’aereo che già dal tunnel che ti guida nel terminal trovi cartelli inneggianti a questa danza. Entri obbligatoriamente nel duty free shop e i souvenir di ballerini in pose plastiche sono ovunque. Per non parlare di portachiavi, magneti, posacenere, apribottiglia, taccuini, magliette, foulard, ventagli con le effigi di ballerini rigorosamente in nero, lui e in rosso, lei! L’istinto, ma non solo, ti dice che sei nel posto giusto. La capitale dell’Argentina traspira delle note di quella musica passionale che sta alla base della danza milonghera. In ogni angolo, in ogni strada nei bar, nelle taberne si “escuchar” note di ballate conosciute che qui effettivamente sono la colonna sonora nel muoversi all’interno di una città maestosa. Si legge la parola Tango, anche nei menù delle pizze. Poi piano piano ti allontani dalla città in direzione sud del paese e ti accorgi che il tango non è così popolare come ti immaginavi che fosse. A Mendoza mi rendo conto che sono in astinenza da Milonga da oltre due settimane da quando cioè è iniziata la mia avventura fuori dall’amata Patria. Considerando il fatto che ci devo passare la notte confido però nella buona sorte, speranza rafforzata dal fatto di essere in Argentina che per antonomasia è la terra promessa anche per ballerini da strapazzo come il sottoscritto. Entro in taxi e mi faccio accompagnare in un hotel a scelta del mio conducente con l’unica clausola che sia vicino a quella che io immagino esista senza assoluto dubbio e cioè la sala da ballo per il tango. In auto mi immagino di ritrovare e rivivere le stesse emozioni che mi aveva trasmesso Buenos Aires. Dall’aeroporto al centro di Mendoza ci sono poco più di 10 chilometri e per poco più di 5 euro arrivo in piazza Espana dove il mio taxi mi scarica indicandomi un paio di hotel. Mi dice che sono proprio dietro al barrio peruviano e lì sicuramente appagherò la mia sete di milonga... mi sembro il buon Silvio Prandi spesso spasmodico per le sue maratone di ballo settimanali, almeno come appare su Facebook. Metto lo zaino nella stanza 202, mi tolgo gli scarponcini e mi infilo le mitiche scarpe che il mio maestro mi ha regalato. Penso che così guadagnerò tempo e mi metto in strada seguendo le indicazioni di una solerte e gentile recepzionista. Da dove sono mi separano solo sette quadre e poi, una volta girato a sinistra, dopo altre quattro e mi troverò al “Tajanar” luogo, sembra, di milonga. Mi avvicino a passi veloci, anche perché le mie stesse scarpe sentono la necessità di esprimersi, e quando vedo la scritta mi si illuminano gli occhi. Davanti a me si appresta ad entrare nel locale un signore di mezza età che si infila la giacchetta accompagnato probabilmente dalla moglie e da un’altra signora più anziana. Mi nasce il dubbio che si tratti di un locale dove è richiesto l’abito elegante. Mi guardo per un attimo e mi rendo conto di essere in jeans e camiciola con le maniche corte di color orange. L’unico punto forte sono le scarpe... punterò tutto su quello in caso di discussione! Entro, ma mi accoglie il panico, vedo solo tavoli apparecchiati per la cena, sulla sinistra un palchetto con un monitor che passa immagini della città. Mi affretto a parlare con un tipo che sta dietro il bancone delle bevande e gli chiedo se c’è milonga questa sera. Il tipo mi sorride e mi dice che da sempre lì non si balla, ma ci sono esibizioni durante le cene e che se avessi voluto un tavolo avrei dovuto prenotare, con l’opzione di poterlo fare ora. Sorvolo sull’offerta e gli chiedo dove poter ballare, ma ahimè non ricevo nessuna informazione utile. Esco fuori dal locale, abbattuto ma non rassegnato. La notte era ancora lunga e sei mai ci fosse stato un luogo dove ballare lo avrei certamente trovato. Mi piaceva l’idea che se lo avessi fatto avrei ballato contemporaneamente con Amur, che sapevo al Mascara. Sarebbe stato come ballare assieme solcando a suon di passi ochos e boleos la distanza, solo fisica, che ci separava tra un continente all’altro… ecco la vera forza che mi spingeva ad accelerare la mia ricerca. Quindi: chi meglio di un taxista può conoscere luoghi, locali, piazze e quant’altro possa esserci in quel posto? Ne blocco uno al volo e non esito a salire a fianco del posto di guida, il tipo rimane leggermente sconvolto, ma non gli lascio tempo e gli spiego il mio problema. Il taxista si tranquillizza e mi porta su una lunga strada dove ci si trova per mangiare e per bere una cerveza ghiacciata. Nel tragitto di poco più di 10 minuti mi fa un sunto sulla filosofia che guida la gente di Mendoza: per ballare il tango è presto, non devo pensare di essere nella capitale e aggiunge: “ah la vida en Buenos Aires hay otra vida aquí es tranquilo corre” Come se si potesse correre tranquillamente nella vita! Ma prendiamola per buona e una volta sceso dal taxi non seguo il consiglio del mio buon cicerone. Per bere una birra bisogna essere almeno in due, come per ballare il tango e ritorno ad agitarmi. Il mio black-berry ad un certo punto inizia a mandare segnali di fumo... sta ricevendo e-mail, mi guardo attorno e sapendo che non ero collegato sulla linea telefonica mi rendo conto di essere in copertura wi-fi. Estraggo il bianco salvatore e inizio a navigare in rete e mi rendo conto che sto proprio di fronte ad un internet point che sta chiudendo. Cerco affannosamente il sito che il mio buon maestro mi aveva mandato, ma nulla. Il tipo all’interno del locale sta spegnendo le luci e seguendolo con un occhio, con l’altro fisso lo schermo del telefono per vedere se si carica la pagina, attonito noto un lungo dito che sta per cliccare sul modem che mi tiene legato ancora all’ultima speranza di muovere quattro passi di tango dopo una affannosissima ricerca. Inesorabile il dito del tipo raggiunge il pulsante e dal mio apparecchio esce un suono acutissimo... è il segnale che non sono più in copertura. Guardo, questa volta con tutti e due gli occhi, il mio monitorino c’è una mezza pagina caricata del “diario de tango de Mendoza” ma arriva solo al dia 20 novembre, oggi è il 24... porca vacca non si è caricata tutta e non saprò mai dove c’è Milonga! Faccio ancora un ultimo tentativo: blocco un altro taxi. Stessa scena: salgo a fianco del posto di guida, gli spiego il mio problema, il tipo mi guarda con sospetto, poi si rilassa e mi porta in calle Perù davanti a “Botegon de Tango” . Mi illumino, faccio per scendere, ma il taxista mi ferma... è tutto chiuso lo stanno restaurando. Rassegnato e molto triste, lascio andare il mio taxi, mi avvio verso l’albergo che raggiungo camminando in poco più di 20 minuti. La receptionista è cambiata, mi consegna la chiave e ovviamente precipito nel sonno più profondo: c’è chi affoga i dispiaceri nell’alcool e chi invece ci tuffa in un letto a sognare l’amata! Mi sveglio di buon ora, faccio colazione, mi collego ad internet e scopro che il giorno 28 novembre ci sarà una milonga a Moròn al numero 216. Faccio due conti e mi rendo conto che quel giorno sarò nuovamente lì e quindi questa volta non perderò occasione per dissetarmi direttamente alla fonte. Quattro giorni volano! Se poi i tuoi occhi sono catturati continuamente da tutto ciò che ti circonda ti sembrerà di non aver vissuto il tempo: elemento forse inventato da noi poveri mortali? Questa è la sensazione che ho avuto ripercorrendo le vie di Mendoza alla ricerca della tanto sospirata Milonga, visto che rivivevo la scena di un film già vissuta. L’unica speranza era che forse stavo camminando nella stessa nottata di quattro giorni prima. Una notte lunga ed infinita e che non vuole tradirmi. Eppure le foto che ho scattato e le parole che ho scritto mi confermano il fatto di essere stato a San Rafael per i Campionati Sud-Americani, mah! Bene stessa trafila per arrivare in avenida Moròn. Fermo un taxi senza guardare se il suo conducente ha l’aria di tanghero o di presunto conoscitore di luoghi e orari di questo ballo, ma questa volta ho idee chiare e sono io a dare precise indicazioni con tanto di numero civico: 216. Imbocchiamo avenida San Martin che nelle ore trascorse qui è diventato il mio vero punto di riferimento. Tutto in questa città, al centro dell’Argentina, ruota intorno a questa strada lunghissima ed alberata. Poi la rivedrò di giorno quando andrò verso l’aeroporto e sembrerà un’altra strada. La notte ha il suo fascino, la notte è calda, ma nello stesso tempo ti lascia la speranza che comunque l’aria sarà più leggera in questa estate che per me sembra non finire mai... ci pensavo giusto oggi. Il tassista sa il fatto suo e in avenida San Juan volta deciso per non perdere il verde, strano perché normalmente è giusto l’opposto. Più tempo passi in macchina è più il tassametro gira. Quando sali sono 4 pesos e 50 cioè 70 centesimi di euro. Non molto in effetti ecco perché questo mezzo di locomozione è molto usato anche dai locali, al contrario di quando succede da noi in Italia. L’ultima volta che ho preso un taxi a casa deve essere stata quella volta in cui arrivavo da chissà dove in aeroporto e non me la sono sentita di chiedere a qualcuno di venirmi a prendere, tanto meno ad Amur che senz’altro era a scuola. E’ passato molto tempo comunque… forse cinque o sei anni. Entriamo in avenida Moron e il tipo mi richiede il numero civico. Io vengo assalito dal panico quando leggo sulle varie porte 206, 208, e poi il 210 è una concessionaria di auto, e mi rendo conto che regna il buio assoluto e mancano solo due porte. Il tassista si blocca e mi fa segno di guardare sulla porta: leggo 216, evidentemente al mio autista è ritornata la memoria e mi dice che sono 11 pesos e 90. Ne ho solo 10 più 5, gli lascio tutto e scendo molto preoccupato. Lui mi saluta, sgomma a parte. In un batter d’occhio mi trovo solo a chilometri e chilometri di distanza dalla mia casa, in jeans e solita camica orange, ma questa volta le scarpe non le ho indossate, ho preferito camminare con le ciabatte in previsioni di cocenti delusioni, sono nel loro sacchetto a rete... per questione di aerazione, anche se, per la verità, non soffro di bromidrosi plantare. Mi guardo attorno e riguardo il civico 216. In realtà il numero non è come tutti gli altri, ma è un cartoncino A4 con il numero scritto con un pennarellone grosso, come se si volesse far capire qualche cosa. Mi concentro e capisco che il numero si riferisce non al negozio che è a piano terra, ma ad una porticina sulla destra che dà l’idea di portare ad una scala. Esco dal porticato e guardo verso l’alto e vedo una sorta di locale, ahimè tutto spento. Le finestre sono aperte e escono delle tende rosse. Nel frattempo vedo due donne arrivare verso di me e non perdo l’occasione per chiedere se non sanno nulla su una presunta milonga e se mai in quel posto ne organizzassero. Le due signore, secondo me madre e figlia, entrano proprio a lato del 216 e aprendo il portoncino mi dicono che quella sera non ci sarà niente perché è festa nazionale e la milonga è rimandata. Mannaggia a questo punto è proprio destino: non ballerò il tango questo giro in Argentina! Torno in Brasile un po’ a malincuore per essere stato nella patria della musica che fa ardere la passione e che infuoca l’ardore con la mia Amata senza poter ballare. Tutto fila via liscio e la settimana passa veloce fino a sabato quando, invitati in Paraguay per una giornata di promozione degli sport con la pagaia all’interno di un Festival interculturale a cui partecipano varie associazioni, incontro Maria una ragazza di Corrientes una città a nord dell’Argentina, non vi dice nulla? E’ dove è ambientata la storia del “Console Onorario” un film di John Mackenzie e con Richard Gere e Michael Caine; però tutto ciò non centra nulla è che ho fatto un collegamento con la città: una associazione di idee... lasciamo perdere e vi dicevo della ragazza che ha sintetizzato esattamente la filosofia del tango:
“el tango es un asunto de Buenos Aires. Argentina no es el tango”!
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