Vincere o perdere, vivere o morire hanno lo stesso sapore
« Questi si affidano
ai numi immortali: non piantano alberi,
non arano campi; ma tutto dal suolo
per loro vien su inseminato e inarato,
orzo e frumento e viti che portano vino
nei grappoli grossi, che a loro matura
la pioggia celeste di Zeus »
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(Odissea, IX, 107-111)
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Guardare Nadal e Djokovic giocare è come guardare un’opera d’arte di Michelangelo: semplicemente perfetta, si potrebbe scrivere una Treccani di come dovrebbe essere il tennis moderno, anzi di come sarà il tennis futuro! Impossibile non entrare in loro ed iniziare a sudare; impossibile mantenere la frequenza cardiaca di chi è seduto comodamente davanti al televisore; impossibile non soffrire; impossibile non vivere la tensione; impossibile non sentire l’intensità di ogni colpo sulla racchetta; impossibile non percepire il dolore che dopo ogni risposta ti assale in ogni parte del corpo; impossibile non godere e tirare un respiro di sollievo quando Rafa si slaccia le scarpe che portano il segno della drammatica battaglia appena conclusa. Impossibile non soffrire quando, prima dell’intervista, si toglie la fascia sul ginocchio bianco, mentre il resto del suo corpo esposto al sole è color della terra del campo di gioco, come i suoi pantaloncini.
In quei gesti unici, sublimi, incantevoli si vive la tragedia e la soddisfazione di un’altra battaglia vinta. Come vada a finire questa edizione del Roland Garros poco conta... la vera finale è già stata disputata!
Poi, quando il cuore torna a battere regolare, le mani non sudano più e si inizia a metabolizzare quanto vissuto, si inizia a capire che, come da tutte le battaglie, quanto visto e vissuto resterà a lungo nella tua anima ti accompagnerà nei tuoi pensieri, nei tuoi momenti bui per prendere energia e capire che fino all’ultimo respiro bisogna lottare, crederci. Vincere o perdere, vivere o morire sono condizioni che comunque hanno lo stesso valore, unica condizione sine qua non è vendere cara la pelle.
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